La piazza in senso lato, quindi l’agorà, il forum, il centro del villaggio, eccetera è stata per secoli il centro, la metafora, l’obiettivo, il campo della comunicazione politica. Ciò fino a quando le nuove tecnologie e mezzi di comunicazione di massa non hanno fisicamente allontanato politici dagli elettori: radio, tv e infine web. Questi strumenti hanno svuotate le piazze ma fatto entrare i politici fin dentro le nostre case.
Fino al primo decennio del secolo, i messaggi della politica erano unidirezionali, con l’arrivo dei social sono ora bidirezionali. Le campagne elettorali, non più limitate nel tempo e nello spazio, diventano permanenti e buone per mobilitare tutto il territorio nazionale (e a volte anche oltre). Le campagne vengono utilizzate da parte dei leader per creare un brand politico vero e proprio, con cui si trasmettere valori e attributi del candidato che trascendono la contingenza della singola competizione elettorale.
La manipolazione psicologica in politica non è una novità, viene impiegata ormai da alcuni secoli, se non da sempre in forme meno scientifiche. Napoleone, come rilevato da Packard, fu tra i primi politici ad affrontare la questione in maniera più moderna, dando vita (per questo come per altri settori del suo governo innovativo) ad una istituzione dedicata, un organismo per la stampa e la propaganda denominato Bureau de l’Opinion Publique. Ufficio preposto a fabbricare manifesti, ma soprattutto le narrazioni in essi contenuti, per indirizzare l’opinione pubblica conformandola alle proprie esigenze. Tale manipolazione del pubblico da parte di un tiranno non è impresa difficile, specialmente se la società è ben irregimentata, questa si predispone ad allinearsi senza che lo Stato faccia ricorso necessariamente alla forza bruta. «Si può perfettamente concepire un mondo dominato da una dittatura invisibile nel quale tuttavia siano state mantenute le forme esteriori del governo democratico». Kenneth Boulding
Più difficile è stato quando si è dovuto cominciare a operare sui cittadini di una società democratica, liberi di ignorare le richieste del tiranno senza temere di essere richiamati all’ordine dalla polizia. Furono i “manipolatori di simboli” a fornire al Potere gli strumenti per declinare la manipolazione politica delle masse nella nuova società. Fu con la campagna presidenziale statunitense del 1956 che questi professionisti, importati dal mondo pubblicitario, introdussero nella vita politica grandi novità. Gli studi di Pavlov sui riflessi condizionati, quelli di Freud sulla sessualità e soprattutto sul complesso di Edipo (particolarmente centrando la figura paterna), la teoria di Riesman (che vedeva l’elettore come spettatore-consumatore di politica) nonché l’analisi del mercato di massa condotta dall’agenzia Batten, Barton, Durstine e Osborn, furono i principali strumenti per sintetizzare e proporre nuove strategie al passo coi tempi.
Siamo passati dai comizi elettorali nelle piazze (con un pubblico estremamente eterogeneo sebbene limitato a singole località volta per volta) alla targetizzazione accurata del proprio elettorato per interessi, geolocalizzazione, fasce di reddito o altri fattori. Il modello di marketing del consenso utilizzato oggi anche in Italia è quello statunitense, fondato soprattutto sul parcellizzare l’opinione pubblica e ricomporla dando a ogni particella di elettori il messaggio più efficace, senza uscire da un frame coerente che è quello dei valori e degli attributi del leader.
«La guerra dell’inimicizia assoluta non conosce alcuna limitazione. Trova il suo senso e la sua legittimità proprio nella volontà di arrivare alle estreme conseguenze. La sola questione è dunque questa: esiste un nemico assoluto, e chi è in concreto?
Il partigiano moderno non si aspetta dal nemico né diritto né pietà. Egli si è posto al di fuori dell’inimicizia convenzionale della guerra controllata e circoscritta, trasferendosi in un’altra dimensione: quella della vera inimicizia, che attraverso il terrore e le misure antiterroristiche cresce continuamente fino alla volontà di annientamento» – Carl Schmitt, Teoria del partigiano (1963)
La dinamica amico/nemico diventa sempre più una tattica comunicativa, non più una conseguenza di posizionamenti ideologici. La polarizzazione estrema dei messaggi, che dividono semplicisticamente il mondo in bianchi o neri, manipolati ad arte per aumentare la loro carica virale, è la condotta base dei social media manager dei politici.
In rapporto con il web, la televisione resta importante per il concetto di “minuto perfetto”, quel segmento vincente dei dibattiti pronto ad essere isolato dal resto della trasmissione per essere poi condiviso nei social anche se la replica dell’avversario ne aveva in realtà smorzato la carica. Nei dibattiti non importa più il botta e risposta e l’averla vinta sull’avversario, neanche il sapersi difendere efficacemente.
La scelta sul dove (in quali programmi) apparire è divenuto più importante della quantità di tempo in cui si sta sugli schermi. Occupare più spazio possibile era la strategia comunicativa dell’età d’oro della televisione (vedi Berlusconi che in una giornata poteva presenziare in tre, quattro, cinque programmi televisivi oltre alle news), adesso invece la targetizzazione suggerisce di apparire anche meno ma meglio.
Poi c’è il fenomeno delle fake news e dei profili fake (i cosiddetti troll che sabotano i profili avversari ma anche quelli che invece caricano positivamente i propri post) che hanno sempre più importanza nel persuadere il pubblico e indirizzarlo, anche indirettamente, all’interno del suddetto frame strategico. Negli Stati Uniti soprattutto, gran parte della popolazione afferma che i social network sono il loro metodo privilegiato per informarsi, e la maggior parte dichiara di avere molta fiducia nelle notizie senza badare troppo all’effettiva credibilità della fonte. La velocità con cui apprendiamo le notizie non permette alcuna mediazione critica e manca del tempo per un confronto.
Capiamo così che la strategia dei politici e gli influencer è uguale, con la differenza dell’obiettivo da raggiungere. Ogni persona può riuscire a raggiungerlo semplicemente replicando i metodi degli altri, cambiando pochissimo nei format. La politica si è esacerbata mettendosi a pilotare i social trasformandoli in una terra di scontro e posizioni nette. In questo contesto diventa più grigio il confine tra informazione e disinformazione, giudizio soggettivo e valutazione oggettiva.
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