di Roberto Sajeva

No, non va bene, non siamo in buone mani, non si può fare finta di nulla. Il tema è la responsabilità in tutte le sue accezioni.

Lo scrittore Sjöberg ha sollevato il nostro scandalo patriottardo illustrando, in una lettera su Repubblica, come la società svedese possa permettersi, anche in questa pandemia, larghi spazi di autogestione personale perché fondata su responsabilità e fiducia tra istituzioni e cittadini (oltre che su grandi spazi e altro, ça va sans dire).

Non bisogna per forza fare del caso svedese un modello. Si deve però considerare che, se le persone fanno propri, criticamente, dei comportamenti responsabili, non ci sarà allora bisogno di fare inseguire quelle stesse persone dagli elicotteri. Che scene patetiche…

Il governo Conte non ha però puntato un solo istante sulla responsabilizzazione attiva delle persone. In questi mesi non ha messo su, non dico un programma educativo per sviluppare strumenti critici per l’autogestione, ma neanche una campagna di istruzioni su come affrontare la Fase 2, ovvero quando si ricomincerà ad avere una vita sociale che, gradualmente, ci esporrà maggiormente al contagio. Questo, come altro, lasciato a scoordinate, per quanto zelanti, amministrazioni locali. Come si dovrà camminare per strada, come si dovrà stare a lavoro, come si dovrà interagire con commercianti, servizi e via cantando. Si è preferito sciorinare ogni giorno dati nudi, statistiche, numeri assoluti che per un comune cittadino hanno poco senso (mille contagi è un dato buono o brutto? Ma è lineare o esponenziale? Uno su dieci, uno su mille? Quando deve scattare il panico? Ottocentomila mascherine sono abbastanza? 10 respiratori lì sono una buona notizia?), specialmente perché sappiamo che in realtà queste statistiche lasciano il tempo che trovano. Persino per gli addetti ai lavori che devono poi affidarsi ad algoritmi, a modelli matematici visto che si era deciso di non fare i tamponi di massa. È stata affidata ai talk show e alla confusione giornalistica e dei social network la metabolizzazione di tutte queste informazioni. Senza una versione centrale, ufficiale. State a casa e lavatevi le mani, oggi i numeri sono questi. Stop.

Solo farmacie e supermercati aperti, poi le librerie per un mero vezzo. Ma già questi esempi bastano a mostrarci empiricamente in che misura la gente non abbia in realtà IDEA di come ci si debba comportare nella Fase 2. Abbiamo pubblicato già una riflessione di Riccardo Nencini sul “dopo”, a 360 gradi. Il senatore socialista è stato anche uno dei pochi parlamentari di sinistra a mostrare preoccupazione per le soluzioni informatiche al vaglio del governo.

Per la fase 2 sono stati promessi i tamponi, le mascherine e i disinfettanti. Lasciando stare gli ultimi, non abbiamo però notizie certe dei primi (che non significano semplicemente la loro produzione ma anche la riorganizzazione dei laboratori di analisi per dare il risultato in tempi utili). Per quanto riguarda le mascherine sappiamo già che quelle che riusciremo a trovare dovremo imparare a sanificarcele più volte da soli ma anche lì, ancora, il governo non ha iniziato una seria campagna istruttiva sulla gestione di questi presidi.

Si fa invece finta di avere le idee chiare sull’altra parte della soluzione, ovvero sul tracciamento “smart” dei contagi.

Il tracciamento “smart”, (inutile senza un adeguato numero di tamponi), si presenta già con almeno due criticità: innanzitutto l’idea stessa, distopica ma seducente perché deresponsabilizzante, di qualcosa di indipendente dagli errori e dalle menzogne umane, secondariamente perché comunque gestita da esseri umani con la loro fallibilità e, ovviamente, con la loro “agenda”.

La minaccia del Grande Fratello e la realtà di uno Stato
non all’altezza neanche dei complottisti

La commistione tragicomica tra la tragedia di un possibile controllo capillare delle nostre vite e la commedia di Stati con evidenti difficoltà tecniche (vedi l’assurdità dei malfunzionamenti del sito INPS o la confusione sulle “anteprime” dei decreti) rende molto difficoltosa l’altro ingrediente necessario ad una società civile: la fiducia.

Tale discorso non va fatto solo per l’Italia. Le app in sviluppo stanno dimostrando alcuni problemi inquietanti (come nel caso eclatante dell’app olandese che, sebbene ancora non definitiva, è già andata in tilt rendendo visibili email e password di utenti).

Sappiate che esistono attualmente due possibili approcci per la realizzazione delle app che i governi stanno sviluppando.

Da un lato abbiamo il modello centralizzato, ovvero la trasmissione dei nostri dati (orario e durata dei nostri incontri, persino la vicinanza) ad un server centrale che immagazzina le informazioni.

Dall’altro il modello decentralizzato, ovvero in cui la maggior parte dei dati resta sui cellulari e il meccanismo di allerta per i contatti a rischio non lascia traccia. Dunque preferibile.

Il primo approccio permette sicuramente una immensa efficienza, persino eccessiva rispetto alle esigenze dell’epidemia. Quell’eccesso è però critico in sé (perché molto invasivo nella vita delle persone) ma anche rispetto alle possibili brecce. Tutte le rassicurazioni ricevute dalle autorità pubbliche lasciano il tempo che trovano perché si fondano su due argomenti fragili: l’onestà dell’autorità ed il margine di sicurezza. Non si affrontano così i problemi. Due sono i principi:

  • La garanzia non può essere la buona fede dei governanti ma l’intrinseca sicurezza dell’infrastruttura;
  • L’unica informazione che non può essere rubata è quella che non viene conservata;

Da ciò ne consegue che andrebbero raccolti solo i dati necessari, che questi dati vadano mantenuti disaggregati il più possibile sui singoli device (senza concentrarli in ghiotte banche dati) e che comunque debbano cancellarsi automaticamente scaduto il tempo ritenuto necessario dai modelli epidemiologici.

Gira la giustificazione “tanto siamo già tracciatissimi”. Non è così. La geolocalizzazione sfruttatissima da molte aziende private (da Google e Facebook in giù) non fornisce questo genere di controllo. Il GPS, al di là del margine d’errore sulla mappa, non distingue (per esempio) a che piano del palazzo stanno gli apparecchi, quindi effettivamente non servono per registrare i contatti. La maggior parte delle informazioni attualmente vengono approssimate da algoritmi (sempre più inquietanti ma non certi), il bluetooth invece fornisce informazioni ben diverse, altrimenti non ci sarebbe bisogno dell’app nuova. Ulteriore riflessione è la seguente: per quanto controversa sia l’invasività di un algoritmo che pubblicizzi un partito a chi abbia partecipato ad unquiz politico, è assai meno pericoloso che quell’informazione venga impiegata da una cinica azienda che da una feroce dittatura. Lo stesso vale per l’orientamento sessuale o altri particolari suscettibili di discriminazione. Inoltre, lasciando stare i fatti personali della gente comune, immaginate cosa potrebbe accadere se, forzata la sicurezza dei database centrali, una nazione straniera riuscisse a scoprire i movimenti dei nostri agenti, pensate allo spionaggio industriale. Pensate agli “scherzi” che si potrebbero compiere inviando input errati.

Queste riflessioni, e altre più tecniche, vengono regolamentati nei cosiddetti protocolli.

Un team di ventisei ricercatori europei (DP-3T), guidati dalla professoressa Carmela Troncoso, ha pubblicato un libro bianco per un protocollo decentralizzato atto a preservare al meglio la privacy degli utenti. Apple e Google, in un’inedita alleanza, hanno adottato una versione riveduta e corretta di tale protocollo da fornire ai governi interessati, A causa di questa scelta tecnica (ed etica), il sistema sanitario inglese ha messo in discussione le trattative con Apple-Google proprio perché vorrebbe riservarsi maggiori privilegi di accesso ai dati. 

L’altro grande consorzio all’opera si chiama PEPP-PT (Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing), che inizialmente citava anche DP-3T come punto di riferimento all’interno delle proprie politiche sul trattamento dati, citazione che è stata poi eliminata senza darne motivazioni (leggi anche qui).
Questo consorzio, alquanto misterioso, ha come principale personalità visibile Chris Boos, uno dei grandi e poliedrici geni europei, ancora poco conosciuto al grande pubblico ma assai influente.
Fondatore dell’Arago, nonché investitore e membro del Consiglio digitale del Governo Federale Tedesco. Proprio a lui alcuni europarlamentari di Renew Europe (il gruppo cui fa riferimento Italia Viva) hanno indirizzato una lettera chiedendo maggiore trasparenza sul funzionamento del loro protocollo.

L’istituto francese INRIA (Istituto nazionale per la ricerca nell’informatica e nell’automazione), che collabora con PEPP-PT, ha pubblicato su GitHub (una sorta di socialnetwork per l’alta tecnica) una critica al dibattito che si è aperto sul tema “centralizzato vs decentralizzato”, ma le loro spiegazioni, similmente a quelle date inizialmente in Italia da Arcuri, lasciano il tempo che trovano perché sempre basate sull’onesta curiosità delle autorità. Nel nostro paese sembra però aver prevalso alla fine il modello decentralizzato.

Eppure moltissime e autorevoli organizzazioni scientifiche che facevano parte del giro di PEPP-PT hanno cominciato a sfilarsi, anche con toni polemici circa la “mancanza di trasparenza e chiara governance”.

A ciò si è anche aggiunta la lettera aperta di trecento, tra accademici informatici, esperti in crittografia e privacy di ventisei paesi, contro le soluzioni proposte da PEPP-PT che consisterebbero fondamentalmente nel suddetto modello centralizzato.

Bisogna dunque fare attenzione che, al di là dei soggetti, i governi adottino come linea guida quella di protocolli decentralizzati, senza cadere nella tentazione di ottenere un controllo più completo, fosse anche in buona fede. La strada per l’Inferno, si sa, è lastricata di buone intenzioni.

Il mito della trasparenza

Mi si permetta ora una riflessione più alta, riprendendo in parte l’incipit sulla responsabilità.

La sputtanatissima “libertà”, con le sue ipostasi “autonomia”, “emancipazione”, “indipendenza” e via cantando, non può esistere che come regime di responsabilità. Ovvero un modo di reggere la comunità e reggersi da soli fondato sul dover rispondere a qualcuno di determinate nostre azioni (l’elettorato, un’autorità, un ordinamento, SE STESSI). E tra i tanti equivoci totalitari, uno dei più equivoci (e dei più totalitari) è quello della trasparenza.

Quando parliamo di amministrazioni trasparenti, quando ci appelliamo alla trasparenza della PEPP-PT, eccetera è in realtà più appello alla loro responsabilità, al fatto cioè che quei soggetti rispondano a NOI nelle nostre risorse, dei nostri dati, eccetera più che di qualche diritto a sapere tutto di tutti.

L’equivoco della trasparenza nasce dall’equivoco della sicurezza e dall’equivoco dell’efficienza. Questi nascono dall’equivoco della sopravvivenza.
Basti in questo momento la citazione di William James che Lasch pone all’inizio del suo strepitoso saggio “L’io minimo”:

«La moderna deificazione della mera sopravvivenza, una sopravvivenza che rinvia a se stessa, nuda e astratta, con la negazione di una qualsiasi sostanziale eccellenza in ciò che sopravvive, tranne la capacità di una misura ancora maggiore di sopravvivenza, è senz’altro la tappa intellettuale più strana mai proposta da un uomo a un altro uomo»

L’Io minimo di Lasch è sopravvivenza senza vita, in cui ogni esperienza culturale e sentimentale è un’inefficienza, dunque un lusso. Un po’ come il concetto di Nuda Vita di Agamben, che è stato aggredito all’inizio della crisi per una osservazione prettamente marginale sull’effettiva pericolosità del virus. Virus che, è giusto ricordare, non è la Peste Nera, non dimezzerà la popolazione mondiale e (per quanto nettamente più pericoloso rispetto all’influenza) è più una peste delle organizzazioni statali. Queste colpevolmente miopi però, perché in realtà ben allertate dalla scienza da almeno dieci anni.

Se vogliamo dirla, più banalmente, con De Crescenzo: abbiamo pensato molto ad allungare la vita e assai poco ad allargarla.

Si vive sempre più ma sempre peggio, seguendo gli equivoci securitari ed efficientisti.
Il Top della sicurezza e dell’efficienza è la Trasparenza. L’efficienza è l’eliminazione dell’attrito e l’attrito supremo è l’ostacolo, la barriera, che blocca il controllo sia fisico che visivo. E la barriera ci separa dall’ignoto e l’ignoto è considerato minaccia.

La trasparenza viene fatta dunque vivere come un’esigenza per la cittadinanza, divenuta “il pubblico”, inteso sia come spettatore che come ex privato. Il famoso privato cittadino viene, si scusi il bisticcio, privato di privacy (oggi si parla infamemente di post-privacy come di post-verità…insomma il senno del post…spesso accoppiato al dis-senno del post su facebook) e diventa infatti pubblico (esposto) cittadino.
Questo processo di trasparenza coinvolge ormai tutti. A tutti i livelli.
Non si tratta più solo delle dichiarazioni dei redditi di politici e funzionari, né della “guerra civile transnazionale” fra trasparenza bancaria e segreto bancario, né di ambiti del quotidiano come la tracciabilità delle merci (anche della merce-lavoratore, vedi l’ottusità del formato europeo di cv): l’esposizione del privato è una realtà tecnologica e culturale.
Questo
trasparire, che è un traspirare, è un assottigliamento delle nostre pelli (metaforiche) che fa parte del processo totalitario dell’Ideologia Modernità. Non va avanti solo come convenienza del Potere, fa ormai parte della degenerazione culturale e morale degli individui. La “gente” impazzita urla “Intercettateci tutti” perché chi non ha nulla da nascondere non dovrebbe temere l’esposizione del proprio privato. Visto che la nostra pelle, traspirando, fa passare i virus, allora per sicurezza dobbiamo far trasparire il nostro corpo e soprattutto il corpo degli altri?
La “scusa” sociale attraverso cui ciò si insinua nelle coscienze, nelle convinzioni, è l’eliminazione del principio di dominio, fondato sui rapporti di potere, fondati sulle asimmetrie. Asimmetrico non è solo il rapporto fra il Signore della Guerra e il bimbo masai, è anche il rapporto tra chi è atletico e chi è disabile, tra chi Ama 100 e chi ama 99, tra chi sa una cosa e chi non la sa: addirittura avere un segreto, fosse anche inteso come privata opinione, costituisce un’asimmetria intollerabile dalla Società della Trasparenza.
Un piccolo uomo emotivamente immaturo tenderà a sviluppare, insieme all’invidia, anche la paura per questa asimmetria. Fosse anche la sua ignoranza su di una sola piccola informazione che, a torto o a ragione, costituisca il vantaggio altrui, ciò innescherà la sua pretesa di trasparenza. Poco importa se questa informazione costituisca un mero dettaglio intimo dell’altro.
È però ancora una volta l’aspirazione all’efficienza ad aprire le porte dell’inferno: senza l’efficientismo le ingiuste pretese di trasparenza di tutti i piccoli uomini comporrebbero solo uno squallido panorama, invece stanno diventando un indirizzo storico.

Se ci responsabilizziamo, responsabilizzando il Governo invece di assecondarlo (con tanto di atroci fantasie da romanzo rosa Harmony applicate al primo ministro), allontaneremo quel panorama estremo che però questa crisi rischia di accelerare, traumaticamente, ingigantendone le contraddizioni e le brutture. Non possiamo accettare passivamente di assumere, ad un tempo, il ruolo (meccanico! Neanche pienamente consapevole) di sorvegliati e sorveglianti, trasformando i nostri cellulari in un Grande Fratello impersonale e a-prospettico che poi però rischia di avere una regia assai personale e, ahinoi, con una inquietante prospettiva.

Per chi volesse approfondire, è consigliata la visione di questo video di salvatore Sanfilippo, programmatore di Hping e  Redis