Nel parlare del 1° Maggio, questo anno il titolo più indovinato lo ha dato Avvenire: “Lavori senza valore”. E’ la risposta più giusta al continuo vanto dell’aumento dell’occupazione in cui si distingue la Presidente del Consiglio: un aumento che sarà pure di contratti a tempo indeterminato, ma dove il  lavoro può essere allo stesso tempo regolare e sottopagato. “Lavorare”, scrive Avvenire,   “non sempre basta per avere una vita dignitosa. Nonostante i livelli record dell’occupazione si accentuano le diseguaglianze tra i lavoratori, con un 10,2% confinato sotto la soglia della povertà, con retribuzioni inferiori al 60% della mediana. Percentuale che raddoppia quando si parla di donne. A essere penalizzati sono soprattutto gli immigrati, ma anche i giovani e chi vive al Sud”.

A questo bisogna aggiungere, fra i dati di base, che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha calcolato che in Italia il livello medio delle retribuzioni rimane ancora al di sotto di quello che aveva raggiunto nel 2008. Infine il dato più agghiacciante, che riguarda la sicurezza sui luoghi di lavoro. Nel 2024 si sono registrati 1090 infortuni mortali sul lavoro, con un aumento del 4,7% rispetto al 2023. Di questi, gli stranieri (molto spesso immigrati irregolari) sono più del doppio degli italiani.

Una riflessione sui “lavori senza valore” va fatta cercando di distinguere quello che è accaduto in questi anni con la globalizzazione dei mercati dalle specifiche caratteristiche del mercato del lavoro e delle politiche attive del lavoro in Italia.

Non c’è dubbio, infatti, che le condizioni di degrado del lavoro riflettono un contesto economico mondiale in cui il profitto ha potuto svincolarsi dalle regole che la parte debole del rapporto era riuscita a conquistare nei decenni precedenti, e in cui, nello stesso tempo, i margini di competitività si sono notevolmente induriti: ne sono un’indiretta conferma le decine di tavoli aperti al Ministero dello Sviluppo economico.  Senza contare le conseguenze, anch’esse su scala globale, dell’innovazione digitale e quelle molto prossime dell’intelligenza artificiale.

Al netto di questo, rimangono però le specificità italiane, che in parte preesistevano e in parte si sono accentuate con la globalizzazione. Il lavoro nero è in questo un tutt’uno con la pratica ancor oggi diffusissima del subappalto (nonostante la normativa europea), e con la declinazione in “precario” del lavoro flessibile in altri paesi mai disgiunto dalla sicurezza. Ma è per la stessa ragione che la produttività ristagna da molto tempo e la competizione fra imprese è sempre più al ribasso. Vi sono gruppi e imprese che di tutto questo si avvantaggiano, le leggi offrono sempre alcune scappatoie a regole apparentemente insuperabili, gli ispettori del lavoro sono in forte diminuzione anziché in aumento, e più in generale i controlli amministrativi restano il buco nero  del sistema. E fino a che punto e come i sindacati hanno protetto la parte debole del rapporto di lavoro?

L’Italia è insomma piena di lavori senza valore molto al di là del neoliberismo, ed è un Paese dove poche sono le forze che si battono seriamente per un lavoro decente. L’opposizione, per risultare essa stessa dignitosa, dovrebbe spingersi oltre la denuncia delle chiacchiere del Governo sull’aumento dell’occupazione, e dire come intenderebbe intervenire concretamente in un campo dove da molti anni le convenienze  di singoli e di gruppi non vengono allo scoperto, e dove soggetti pubblici e privati evitano di assumersi le rispettive responsabilità.

Per questa stessa ragione, il vuoto politico che si sente sui lavori senza valore è incolmabile ed anche pericoloso. Lo aveva visto bene Pierre Carniti, quando scriveva  che “il cuore dello Stato democratico è il lavoro. Questo richiede che si raccolga tutto il sapere, tutto il talento, la passione politica per affrontarlo concretamente. Ogni esito che non sia la possibilità di lavoro per tutti, la creazione e la ripartizione del lavoro, come fondamento di una sorte condivisa, porta in un vicolo cieco. Porta a guai seri per la democrazia” (Noi vivremo del lavoro…, Edizioni Lavoro, 1996, 35).