La discussione sulla riforma del Senato procede nella massima confusione, a dimostrazione di quanto sia difficile per il potere costituito farsi anche potere costituente, come già aveva segnalato il presidente Cossiga nel suo messaggio alle Camere del 1991.
Può quindi essere il caso, prima che si producano devastanti effetti collaterali, di riprendere la riflessione sulle procedure della revisione costituzionale, magari senza impiccarsi al feticcio dell’articolo 138.
Ora Quagliariello e Guzzetta (con la benedizione di Berlusconi) rispolverano l’idea del “referendum di indirizzo”, che già venne adombrata nei primi anni ’90, e che per la verità non dovrebbe scandalizzare nessuno, visto che è da una procedura analoga che nacque la Repubblica.
Allora, per la verità, venne contestualmente eletta anche un’Assemblea costituente. Può essere utile, quindi, in attesa della formalizzazione della proposta Guzzetta, rileggere il disegno di legge col quale, nel 2012, Marcello Pera ne propose l’istituzione, e che ebbe anche, a fine legislatura, un effimero passaggio nell’aula del Senato.
Allora la grande stampa ne parlò soprattutto per denunciare il rischio che si dovessero pagare novanta stipendi in più, come scrisse Sergio Rizzo sul Corriere della Sera. Ora lo pubblichiamo nella sezione Documenti, sollecitando la reazione dei nostri lettori. Chi sa mai che fra tanti inutili sondaggi questa volta la Rete non possa dare qualche utile indicazione ai legislatori.
DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE
d’iniziativa dei senatori PERA, CARUSO, COMPAGNA, LAURO, PASTORE,
POLI BORTONE, RAMPONI, VALENTINO e VIESPOLI – Modifica all’articolo 138 della Costituzione, in materia di revisione della Costituzione mediante l’elezione di un’Assemblea
costituente (3135)
DISEGNI DI LEGGE COSTITUZIONALE
Nn. 2173, 2563, 3135, 3229, 3244, 3287, 3288, 3348, 3384 e 3413-A
Personalmente sono contrario a qualsiasi riforma da parte di questo Parlamento di nominati che, a mio modesto avviso, non rappresenta nessuno, ma dico proprio nessuno, specialmente le riforme costituzionali, che sostengo dal 1991, non si cambiano le istituzioni ogni cinquant’anni. Qualora ci convincessimo della necessità, perlomeno si facciano bene, attraverso una assemblea Costituente eletta su base proporzionale puro.
Se la riscoperta del riformismo istituzionale è una bella notizia, occorre però tornare a Kelsen per ricordarsi che il diritto è un contenitore destinato a dare forma ad un contenuto. Il giurista può essere inebriato dal fatto che la sua ingegneria normativa abbia ora, nel motore, la forza del 40,8% dei votanti alle ultime europee, soprattutto dopo il gran fracasso con cui si concluse l’ultima stagione riformista vent’anni fa: ma il politologo gli insegnerà che è sempre il contenuto, ciò su cui si eserciterà il giudizio storico e quello – un po’ meno di lungo periodo, ma ancor più determinante per gli eventi futuri – dell’elettorato.
La stessa riscoperta del problema del bicameralismo imperfetto risente di questo canone ermeneutico: se, come sottoprodotto della Porcata della legge elettorale del 2005, il senato non avesse dato esiti parzialmente divergenti dai risultati elettorali della Camera, nessun professor D’Alimonte si sarebbe mai accorto dell’attentato alla governabilità che veniva dall’esistenza di una seconda Camera investita del rapporto fiduciario col Governo.
Anche quello della governabilità, del resto, è un argomento a doppio taglio: quando lo introdusse Craxi con la Grande Riforma tentata negli anni Ottanta, l’intellettualità cattocomunista ne denunciò la valenza eversiva, di compressione del pluralismo politico italiano in nome di un dirigismo inaccettabile. Dopo vent’anni di maggioritario che ha spaccato il Paese in due mezze mele, l’unico mantra che si sente è la necessità di difendere il bipolarismo. Che cosa è cambiato?
Forse per l’anima del Pd risultante dalla ‘fusione a freddo’ di popolari e Ds, il mutamento deriva dalla consapevolezza che medio tempore il sistema politico è diventato tripolare e loro rischiano di perdere anche quel monopolio dell’Opposizione che rappresentata l’iskra leniniana nei tempi dell’esilio, o il rappattumarsi del popolo di dio dopo la traversata del mar Rosso in vista della Terra promessa.
Ma Renzi è un fenomeno antropologico del tutto diverso: nella sua spinta riformista vi è una (sana, direi) pulsione verso il potere per il potere, scevra dalle giaculatorie del passato. Ecco allora che, nella sentenza costituzionale di caducazione della legge Porcata, egli non ha saputo vedere altro che un rischio. Un pericolosissimo effetto (a strettissimo ridosso della sua vittoria alle primarie del Pd di dicembre) suscettibile di azzopparne la vittoria elettorale secondo i canoni mediatici del maggioritario, per costringerlo alle negoziazioni con partiti e correnti secondo la vecchia logica proporzionalistica.
Ecco perchè occorreva rimediare al più presto, instaurando al Nazareno una sessione Costituente che ridesse tuono mediatico alla ‘bomba’.
Non è l’Europa che chiede la fine del bicameralismo perfetto, non più di quanto chieda il miglioramento del sistema giustizia o la maggiore appetibilità degli investimenti nel nostro Paese mediante un corpus chiaro di diritto del lavoro.
Ma senza l’Italicum e senza la Revisione costituzionale Renzi sa che il Consultellum lo trasformerà in un Rumor ingabbiato nello stallo delle mille alleanze.
La politica pura, quindi, riprende prepotentemente le sue ragioni, in questo tentativo di salvare il bipolarismo dall’effetto della sentenza costituzionale.
Ma la domanda sul contenuto, di tutta questa frenesia decisionale, resta: definito il contenente, quale il contenuto?
Della Grande Riforma sapevamo tutto, anche grazie al prestigioso pensatoio raccolto intorno a questa Rivista. Del Giglio magico conosciamo un po’ di sloganistica, qualche capriola oratoria scoutiana e un po’ di fumo di cero di sagrestia. Lo sfavor verso il referendum, ad esempio, viene da lontano, da battaglie intorno ai diritti civili consacrate dal popolo sovrano contro il passatismo clericale arroccato in Parlamento.
Certo, il momento è troppo decisivo per far sventolare i vessilli a scapito di un’intesa costituzionale il più possibile alta: e dopo?
La nostra Costituzione, in vigore dal 1 gennaio 1948, fu formalmente elaborata dal giugno 1946 al dicembre 1947, con una coda – sulle leggi elettorali – nel gennaio-febbraio 1948, e con un antefatto, presso il Ministero per la Costituente dal novembre 1945.
Ognuno si guardi dentro, faccia un confronto tra i costituenti di allora e quelli di oggi (e senza offesa per alcuno!), consideri i tempi della attuale non-discussione, e si dica – in coscienza – se, prima di sfiorare, semplicemente sfiorare il Parlamento (intorno a cui ruota tutto l’edificio costituzionale e dal quale si irradia la democraticità-rappresentatività del sistema), non sia, non dico opportuno, ma necessitato costituzionalmente eleggere – con sistema proporzionale puro – una nuova Assemblea Costituente.
Solo in quel modo può evitarsi la rottura costituzionale che si sta preparando, e che mi fa, legittimamente e letteralmente, parlare di colpo di Stato, o golpe toscano, sostenuto dai diversi fiancheggiatori-suggeritori delle varie burocrazie (e partiti di affari) regionali…
Nel merito, considero la modifica della struttura del Parlamento, ivi incluso il bicameralismo, questione non modificabile con il 138, perché l’attuale sistema costituzionale poggia tutto sullo stesso Parlamento, quindi, la certezza, modificando quest’ultimo, di squilibrare il tutto, non penso possa discutersi. Per il metodo che io propongo, che potrebbe consentire Tutto, ripeto Tutto, persino la creazione di una monarchia elettiva, propongo, appunto, una nuova Costituente. Bene inteso, che l’attuale Parlamento continuerebbe il suo lavoro, cioè sostanzialmente convertire decreti legge dei governi. Al di là delle proposte del testo boschi, con tutte le modifiche apportate in commissione, la cattiva coscienza, la volontà golpista rileva da una semplice cosa: il non volere mettere in Costituzione quale sarebbe la legge elettorale del futuro Parlamento. Essa viene lasciata fuori, alla mercé di accordi opportunistici, sempre mutevoli, date le basse minoranze necessarie per modificare una legge elettorale ordinaria. C’è di fondo l’equivoco che la legislazione, e persino la Costituzione, siano materie di competenza dei governi. Questa idea è proprio la negazione della democrazia liberale. In USA, nelle democrazie evolute, quali le scandinave, le maggioranze parlamentari che fanno le leggi sono mutevoli, prescindono quindi da quella di governo. Ed infatti la grande maggioranza dei governi sono di minoranza. Questo produce maggiore qualità dei testi, perché la volontà maggioritaria si forma, volta a volta, sul merito dei problemi e delle soluzioni, dando con ciò senso pieno alla discussione ed al lavoro parlamentare. In Italia, sin dalla Statuto, il governo del Re é il padrone assoluto di tutto. Questo uso della “legislazione continua” per governare ed amministrare copre la corruzione, la mancanza di responsabilità amministrativa a tutti i livelli, e tante cose analoghe. In Costituente Mortati, Tosato, Ruini, Perassi provarono a fare un discorso diverso. Mi permetto di citarmi.
http://m.youtube.com/watch?v=QEokG0xUyeM