La politica commerciale protezionista promossa dal presidente statunitense Donald Trump, con l’imposizione di dazi a livello globale, sta avendo ripercussioni sull’intera economia mondiale. Tuttavia, anziché limitarsi a rispondere con misure ritorsive, i Paesi coinvolti hanno l’opportunità di intraprendere una via alternativa: distinguere chiaramente tra gli Stati Uniti, sempre più imprevedibili sul piano commerciale, e una coalizione di attori favorevoli a un commercio equo, stabile e reciprocamente vantaggioso.
Paradossalmente, le scelte unilaterali dell’amministrazione Trump stanno incentivando nuove alleanze e accordi commerciali tra partner internazionali. In questo scenario, l’Unione Europea si trova in una posizione privilegiata per assumere un ruolo di guida e diventare un partner affidabile per molte economie avanzate. Le opportunità di cooperazione sono particolarmente forti con Paesi che condividono valori democratici e interessi strategici simili, come il Regno Unito, il Canada, il Giappone, la Corea del Sud e l’Australia. Esistono inoltre margini per rafforzare le relazioni commerciali con altre nazioni, come dimostrano i negoziati in corso con l’India e le prospettive di riequilibrio con la Cina, duramente colpita dalle misure statunitensi.
Secondo gli economisti della Banca Centrale Europea, un’espansione degli scambi commerciali con Paesi terzi potrebbe contribuire a mitigare gli effetti negativi della disputa commerciale con gli Stati Uniti. Tuttavia, la credibilità dell’UE come partner strategico non può basarsi unicamente sull’affidabilità e sull’evitamento di decisioni impulsive. È necessaria una base economica solida, oggi purtroppo assente.
Il recente rapporto sulla competitività dell’ex presidente della BCE Mario Draghi, accolto positivamente dal Parlamento europeo, ha messo in luce l’urgenza di riforme strutturali. Eppure, i leader europei appaiono esitanti nell’intraprendere il percorso necessario. Una possibile spiegazione di questa inerzia è il temporaneo miglioramento degli indicatori economici, sostenuto dall’incremento della spesa pubblica in Germania e dall’aumento degli investimenti in difesa in linea con il principio “Buy European”.
Ma ritenere che misure congiunturali possano sostituire riforme strutturali sarebbe un errore strategico. Questi interventi accrescono il debito pubblico e non affrontano le criticità di fondo segnalate da Draghi. Le recenti riunioni del Consiglio europeo hanno evidenziato questa mancanza di visione: l’agenda si è concentrata su interventi di semplificazione normativa, riduzione dei costi energetici e creazione di un’unione del risparmio e degli investimenti, trascurando le riforme necessarie a rilanciare la competitività europea.
Anche i lavori sull’agenda per la competitività si sono rivelati deludenti, evitando i temi centrali per un rilancio efficace. Non sono stati discussi né gli accordi di facilitazione degli scambi né la rimozione delle barriere al mercato unico,è a questa mancanza di iniziativa che si riferiva la presidente della BCE Christine Lagarde quando ha parlato della necessità per l’Europa di “prendere in mano il proprio destino” in risposta alla sfida dei dazi statunitensi.
Le sue parole sottolineano un’urgenza reale: nel contesto di un cambiamento potenzialmente duraturo della politica commerciale americana, l’Europa è chiamata a rafforzarsi per diventare un attore autonomo e influente.
Se, oltre a valorizzare i propri principi democratici e la stabilità istituzionale, l’Unione sarà in grado di attuare le riforme necessarie per rilanciare la propria economia, potrà proporsi come una valida alternativa al modello proposto dall’amministrazione Trump. Una tale alternativa offrirebbe ai Paesi terzi una scelta tra due visioni distinte di società, economia e governance globale, con conseguenze potenzialmente decisive per l’ordine internazionale.
Tuttavia, l’attuale approccio dei governi europei all’agenda economica suscita preoccupazioni. È possibile che vi sia una sottovalutazione della gravità della situazione o un eccessivo affidamento al mantenimento dello status quo, magari dettato da calcoli elettorali o da una preferenza per l’immobilismo.
In ogni caso, il tempo a disposizione è limitato. L’Europa deve agire con determinazione, altrimenti rischia di sprecare un’occasione storica per assumere un ruolo guida in un mondo più libero, equo e responsabile.
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