A questo punto della crisi stabilizzata dei partiti politici e della crescita inarrestabile della disaffezione sociale rispetto alla politica, la domanda posta a titolo di questa nota potrebbe suonare come retorica.

Ha scritto qualche tempo fa (dunque ora il trend va considerato in ampio consolidamento) Linda Laura Sabbadini (Istat): “Attualmente è considerato normale recarsi a votare, come non recarsi a votare. Il deporre la scheda nell’urna è percepito sempre meno come un diritto, e ancor meno come un dovere, e sempre più come una facoltà di cui avvalersi”.1 Messa così, anche soggettivamente, l’espressione “scappatoia” suona moralistica e la parola “menomazione” potrebbe essere antistorica.

Tuttavia, la riflessione – che va compiuta con particolare senso in queste elezioni-lampo estive – è di provare a verificare se le tre connotazioni oggi, a guardar meglio, coesistano. Sia sul piano sociologico, sia sul piano dell’etica pubblica.

Partiamo dal dato previsionale.

Scrivo nel primo giorno di settembre e proprio questa mattina sia il Corriere della Sera sia Repubblica aggiornano i dati della discussione. Nando Pagnoncelli (Ipsos), sul Corriere, stima “l’area grigia dell’indecisione e dell’astensione attestata al 38,3%”. Per ora dunque una decina di punti in più rispetto all’esito delle urne nel 2018. Ma sommando indecisi e astenuti è logico pensare – e lo dice anche Pagnoncelli – che una quota tenderà a fare una scelta nella stretta finale della campagna, per cui la forbice finale sarà probabilmente con esito più rilevante del 2018, comunque tra il 30 e il 35%2. Sulla fascia giovanile tra i 18 e ai 25 anni si concentra invece Riccardo Luna su Repubblica, accompagnando la sua analisi con un sondaggio SWG e stimando che la disaffezione giovanile va oggi prevista nella forbice tra il 34 e il 38%3.

Stefano Iannacone, sul quotidiano Domani, nel primo avvio della campagna elettorale, bilanciava il dato che questa fascia giovanile vota per la prima volta per il Senato (fattore di stimolazione) con il contesto però negativo per i giovani che costituisce materia depressiva per questa generazione, fino a ipotizzare un astensionismo pari al 45% (che poi è il dato generale del non voto sia alle ultime europee che alle ultimissime amministrative in Italia). Giuseppe De Rita (intervistato da Stefano Cappellini su Repubblica) ha prestato molta attenzione al fenomeno dell’astensionismo mettendolo in relazione ad un sentimento diffuso che fa emergere una delusione collettiva: “Per molti le elezioni non sono più il momento magico della verità”. E aggiunge: “Credo che il più grande limite della politica italiana sia nella sua staticità. La nostra campagna elettorale è una litigata quotidiana su chi offre più tutele ai cittadini. Ti diamo questo, io ti do di più, allora io rilancio. Manca del tutto la capacità di andare oltre. Nell’America del Vietnam i cantanti dicevano we shall overcome, andare oltre. Nelle società dinamiche e moderne ai leader serve il coraggio di non limitarsi a tutelare ma esplorare, provare, rischiare. È come la differenza tra montanari e marinari. Per carità, intelligentissimi i montanari, ma la montagna che occlude la vista li porta solo a pensare a tenere in ordine il loro ambiente, chi sta sul mare ha un’altra prospettiva. Ecco, i nostri leader sono molto montanari. E poi sono invischiati nella pari merito4.

Pluralità di cause, pluralità di misure

Nell’astensione ci sono almeno cinque fattori che in parte si mescolano, in parte di disaggregano nella realtà. Condizioni tecnico-burocratiche che non favoriscono il comportamento di voto (in particolare per i fuorisede). Condizioni di difficoltà e impedimento personale. Incomprensione degli elementi di offerta, insieme alla non percezione di corrispondenza dell’offerta con la propria griglia di motivazione al voto. Disaffezione rispetto alla politica in relazione a delusioni e critiche in ordine al rendimento degli “eletti”. Razionale sentimento di protesta.

Gianfranco Pasquino, ex senatore e reputato politologo, ha fatto sintesi delle cause, appunto, politiche dell’astensionismo, esprimendo queste tre evidenze:

  • la tendenza a partecipare solo alle tornate elettorali ritenute più importanti: generalmente l’affluenza è parecchio più alta alle elezioni politiche che alle amministrative;

  • la forte somiglianza tra proposte e idee dei vari candidati e delle diverse coalizioni, con la conseguenza che la vittoria di uno o dell’altro avrebbe uno scarso impatto sulla vita dei cittadini;

  • la crisi dei partiti, i quali ormai non riescono più a mobilitare gli elettori e portarli alle urne.

Istituzioni, partiti, media, scarso interesse

Una prima grande discussione pubblica dovrebbe essere illuminata da una spiegazione molto più netta e molto più mediatizzata dei caratteri e delle dimensioni di questi così diversi fattori.

Ma nessuno favorisce questo chiarimento.

  • Non lo fanno i partiti politici, che glissano tutti sul fenomeno, sembrano non voler contribuire alla delegittimazione che il fenomeno stesso produce nei loro confronti e, tendenzialmente, appaiono progressivamente più inclini ad accettare la tesi di origine conservatrice secondo cui “la democrazia è chi c’è”.

  • Non lo fanno i media, salvo lanciare il tema “l’astensionismo primo partito alle elezioni” che, senza spiegazioni, non sposta di una virgola i comportamenti.

  • Non lo fanno le istituzioni che in materia elettorale hanno rinunciato da un pezzo ad esercitare compiti di educazione civica, limitandosi a far funzionare la macchina elettorale e a comunicare indirizzi e orari.

Lo fanno alcuni studiosi di sociologia politica, che anche in questa occasione contribuiscono in modo quasi clandestino a segnalare cose importanti: il nesso tra astensionismo e povertà/indigenza per esempio5 o le relazioni tra il fenomeno del non voto e l’antipolitica6. Lo ha fatto nel dibattito pubblico recente il professor Sabino Cassese, tornato a ferragosto sul vulnus democratico del discredito dei partiti, dettagliando e analizzando la saettante definizione di Mauro Calise (“fragili, volatili inconsistenti”).

Il nodo della riflessione è l’insufficienza di democrazia interna del sistema intero dei partiti italiani, venendo così meno la cornice di legittimazione che Piero Calamandrei espresse alla Costituente il 4 marzo 1947: “Una democrazia non può essere tale se non sono democratici anche i partiti”.

Lo scenario internazionale e le tendenze americane di questo fenomeno (dal 2016 l’asticella del non voto ha superato il 40% negli USA e nelle elezioni di midterm vota regolarmente la “minoranza” del corpo elettorale) avrebbero poi bisogno di molta più illuminazione e discussione, anche perché è all’interno di questa ancora oscura forbice che si fanno le analisi più realistiche sulle prossime evoluzioni della politica degli Stati Uniti, da cui dipendono largamente le sorti della democrazia stessa dell’Occidente.

In realtà, l’unico soggetto “di sistema” che ha avuto una preoccupazione sostanziale negli ultimi mesi riguardo alla questione dell’astensione crescente è stato il governo Draghi. Smentendo l’approccio puramente tecnocratico-finanziario dl governo di emergenza riguardo ad una spina nel fianco da un lato dei partiti ma dall’altro lato anche della democrazia italiana nel suo complesso, Mario Draghi ha incaricato a dicembre 2021 il ministro per i rapporti istituzionali Federico D’Incà di costituire una commissione di esperti (in larga parte rappresentanti delle amministrazioni competenti), presieduta da Franco Bassanini, che ad aprile ha consegnato un rapporto centrato sulle analisi (che ripercorrono il quadro plurale delle motivazioni) per giungere però anche a proposte di intervento sulla riduzione del fenomeno, agendo su molti degli aspetti tecnico-burocratici (il ministro D’Incà ha stimato che “con la creazione dell’election pass si potrebbe agire con una riduzione del 20% dell’astensione7). Ben inteso, lo scioglimento anticipato delle Camere ha, per ora, vanificato l’attuazione delle misure.

Un dato va emergendo nelle analisi sui flussi elettorali e merita di essere qui ricordato, perché esso spiega che alcune forze politiche dovrebbero più di altre agire in forma meditata e sociale sui temi che l’evoluzione crescente dell’astensione pone alla politica e alla società italiana dalla seconda metà degli anni ’70, in forma inarrestabile. E cioè che la provenienza di voto dal centrosinistra risulta il doppio rispetto a quella di provenienza dal centrodestra nella composizione attuale degli astenuti. Anche questo elemento è diffuso nelle democrazie liberali. Per esempio, il Giappone (che sta sul filo del 45% di astensioni) ha visto i recenti combattimenti elettorali segnati da attese (poi deluse) tra destra e sinistra, secondo un analogo paradigma.

Chi scrive ha anche immaginato – trattando il tema in altra sede – che il civismo politico, soprattutto di espressione territoriale (quello vero, naturalmente e non quello generato fittiziamente dai partiti in occasione dei turni elettorali) potrebbe rivendicare un’attenzione permanente, di tipo anche socio-pedagogico, alle cause della crisi dei partiti politici nell’alimentare l’astensione, dimostrando l’interesse invece della politica “civica” e delle istituzioni di combattere con qualche risultato la filosofia del “la democrazia è di chi c’è”. Ovvero modificarne gli aspetti cinici e portare quel 30% dell’Italia amministrata nei territori dal basso a farsi carico di una delle malattie in realtà con pochissima diagnosi e nessuna terapia di cui soffre la qualità democratica dei paesi occidentali.

Un diritto da coltivare con meno cinismo

Eccoci ora nelle condizioni di riprendere in mano la piccola provocazione del nostro titolo. Sapendo che mai come in questo momento è il carattere “truffaldino” della legga elettorale non cambiata a ingrossare le file dell’astensionismo, cioè a fronte di una sostanziale marginalità del cittadino-elettore di votare facendo prevalere la scelta collettiva dei votanti rispetto alla scelta verticale dei capi-partito di imporre “nominati” e facendo per giunta emergere una dominante ulteriormente pericolosa per la salute dei partiti politici. Azzerata la società civile nelle liste, si è letto su alcuni quotidiani.

  • L’astensione è un diritto? Nulla quaestio. Ma è un diritto che in termini della qualità generata presenta sterilità e scarsa creatività. Come ha scritto di recente la filosofa Giorgia Serughetti “quando il posto della politica democratica resta vacante, altri poteri — dalle forze del mercato alle componenti autoritarie — trovano lo spazio per avanzare8.

  • È dunque una “scappatoia”? In molti sensi lo è, anche compreso quello di rendere meno tortuoso e infingardo il paradigma montanelliano di “votare turandosi il naso”. Ma varrebbe il carattere provocatorio della crescita di questa “scappatoia” se si mettessero realmente in armi le antitesi culturali e comunicative di una legittima pedagogia sociale attorno alla crisi della politica. Essa è dichiarata in Italia da tempo, producendo emergenze nelle emergenze, ma il cantiere delle riparazioni non lo abbiamo visto ergersi nella sua promessa di cambiamento.

  • Quanto alla “menomazione”, si fa presto a sommare i fattori di diminuzione democratica qui brevemente accennati e altrove, certo da altri più competenti, meglio approfonditi.

La partecipazione può generare coesione e la non partecipazione può incrementare conflittualità. Ma non è un processo così lineare. Tanto che per parlare di menomazione si dovrebbe immaginare una trasformazione quasi irreversibile, come quella che stava rischiando l’Unione Europea, ove la disaffezione elettorale fosse scesa strutturalmente sotto la soglia del 50%.

L’astensionismo è in salita, ma non ha ancora sbilanciato del tutto il principio di una “vera” maggioranza del corpo elettorale. E tuttavia se tutto continuerà a tacere, a breve potremo passare dalla contesa terapeutica al blando contesto delle cure palliative.

1 Linda Laura Sabbadini, Partecipazione politica e astensionismo secondo un approccio di genere, 28 febbraio 2006.

2 Nando Pagnoncelli, Il sondaggio, Corriere della Sera, 1.9.2022

3 Riccardo Luna, Giovani, il voto perduto, Repubblica, 1.9.2022

4 Giuseppe De Rita, “Politici prigionieri dei social, non mobilitano più“, La Repubblica, 29.8 2022

5 Riccardo CesariElezioni 2022, cresce l’astensione: il rischio di una democrazia senza demos– Corriere della Sera-Economia, 16.8.2022 –

6L’astensionismo indica una rottura del patto tra cittadini e politica”, Egidio Lorito intervista Francesco Raniolo, Panorama, 15.8.2022

7 Intervistato su questa materia da Luigi Garofalo per Key4biz (26.4.2022) – https://www.key4biz.it/intervista-a-dinca-con-election-pass-punto-a-ridurre-lastensionismo-del-20/401040/ – A questo link si può risalire al documento integrale del Rapporto e alla composizione della Commissione.

8 Giorgia Serughetti, Le ragioni del non voto e il rischio del vuoto, editoriale del quotidiano Domani, 28.8.2022.