A parer mio, per chi crede nelle ragioni del socialismo, non si tratta di guardare al Portogallo o alla penisola iberica come a un “modello”. Lisbona rappresenta piuttosto un promemoria. Il socialismo democratico si articola infatti in una pluralità di percorsi, di pratiche, di incontri, di elaborazioni e di esperienze. Guai a dimenticarlo. Dissipare un patrimonio del genere corrisponde, in fondo, a smarrire le ragioni stesse della sinistra.
Un esempio: è diffusa la percezione della debolezza del Pd nel suo confronto con il M5s. Ecco: essa è riconducibile proprio al deficit di cultura politica che fin dall’inizio caratterizza i dem. Buttare al macero una storia ricca e tormentata di quasi centocinquant’anni come quella del socialismo italiano è una follia. Non di nostalgia parliamo, bensì dell’esigenza di valorizzare un repertorio formidabile in vista delle sfide che ci attendono. Parole e idee come libertà, eguaglianza, opportunità non sono semplici astrazioni, avendo spronato intere generazioni di donne e di uomini a migliorare la propria esistenza e a lottare per superare miserie e costrizioni. Se ciò cade nell’oblio, tuttavia, allora davvero quei vocaboli non evocano più nulla.
Il Portogallo è dunque lì a ricordarci che il socialismo si nutre dell’azione e del pensiero di persone in carne e ossa, dei loro tentativi, della loro ricerca di una vita dignitosa per ciascuno, in nome del possibile. Un socialismo possibile, insomma, che non si lascia ammaliare dai falsi profeti della fine della storia.