Luigi Covatta

Ci sarà modo di tornare sull’inadeguatezza del ministro Bonafede, al quale si è finalmente spento il sorriso che gli abbondava sulla bocca. E ci sarà anche modo per valutare sotto il profilo deontologico il comportamento di un membro del Csm come Di Matteo.

Fin d’ora, però, si può fare qualche considerazione sulla questione di merito: perché Di Matteo voleva andare proprio al Dap? Giovanni Falcone non aveva ritenuto per nulla disdicevole il ruolo di Direttore generale degli affari penali: e magari se Martelli gli avesse offerto il Dap si sarebbe offeso.

Ignoro quali siano le gerarchie (anche retributive) in seno al ministero della Giustizia. Ma non posso credere che un cavaliere senza macchia e senza paura sia stato condizionato da queste miserie.

Più probabile che abbia risposto ad una vocazione personale: quella delle manette, che del resto ben si addice ad un magistrato della pubblica accusa, che non deve essere “terzo” come il magistrato giudicante. Anche per questo molti sono favorevoli alla separazione delle carriere.

Resta da dire che si attende un intervento del presidente del Csm: con l’augurio che l’esito non sia analogo a quello che seguì la dura reprimenda in occasione del “caso Palamara”. Fu allora, infatti, che Di Matteo venne eletto in seno all’organo di autogoverno della magistratura.