Di Luigi Covatta

Sull’Avantionline Luigi Covatta ha ricordato Sergio Zavoli con la nota che riportiamo di seguito.
Nel prossimo numero di Mondoperaio ricorderemo Sergio Zavoli in maniera singolare: pubblicando un suo intervento in memoria di Paolo Grassi. Non perché furono entrambi presidenti della Rai, ruolo tutto sommato minore nella biografia dell’uno e dell’altro, né soltanto perché erano socialisti: perché entrambi furono protagonisti di stagioni innovative della cultura italiana.
A Zavoli, fra l’altro, toccò il compito di guidare una Rai non più monopolista, come era stata quella di Bernabei: ed ebbe il merito di accettare la navigazione in mare aperto nella competizione con le emittenti commerciali, evitando di arroccarsi nella difesa dei residui privilegi del servizio pubblico.
Del resto anche e soprattutto con la sua attività giornalistica si era misurato coi colleghi della carta stampata senza complessi: forse perché aveva il dono di parlare “come un libro aperto”, e la virtù di non usare il mezzo per emozionare il pubblico, al contrario di quanti poi diedero vita a quella “neotv” così ben descritta da Alberto Abruzzese dopo l’inatteso successo di Berlusconi alle elezioni del 1994: quella, cioè, in cui sono stati privilegiati “eccessi individualisti, eccitazioni della piazza, ibridazioni tra politica e spettacolo, il massimo dell’interattività possibile concesso dalla unidirezionalità del mezzo, una forte personalizzazione degli stili, un grande protagonismo anti-istituzionale”. La notte della Repubblica, infatti, non era un talk show: e se Zavoli fosse rimasto presidente della Rai forse i talk show non sarebbero mai nati.
Come Grassi, non si preoccupava di adeguarsi alle oscillazioni dell’audience: loro l’audience lo creavano, anche perché avevano alle spalle una committenza pubblica capace di guardare oltre il proprio naso ed il naso dei sondaggisti. Non a caso l’unico insuccesso professionale Zavoli lo subì quando, nel 1993, subentrò a Pasquale Nonno nella direzione del Mattino di Napoli. Per la prima volta gli toccava di lavorare sotto padrone: e per di più sotto un padrone a sua volta nuovo come Caltagirone, ansioso di prendere le distanze dalla prima Repubblica morente e tuttavia incerto (come tutti, allora) su quale leadership si sarebbe affermata nella seconda Repubblica nascente.
Un anno Sergio volle darmi una mano in campagna elettorale: senonché, come talvolta capita, trovammo la piazza vuota. Ovviamente volevo annullare la manifestazione: ma lui mi convinse a salire comunque sul palco. “L’importante è la qualità di quello che hai da dire, non la quantità di quelli che ti ascoltano”, mi disse: e forse anche per questo dieci anni fa non mi mancarono il suo incoraggiamento e il suo sostegno quando ripresi le pubblicazioni di Mondoperaio.