Non ci fossero le leggi razziali del 1938 a macchiare l’onore dell’Italia unita (a sporcarlo rispetto a noi italiani, prima di tutto ed essenzialmente: visto che ad essere esclusi dalla comunità nazionale furono anche combattenti della Grande Guerra onorati da medaglie al valore, e anche “fascisti della prima ora”, e le loro famiglie, padri, madri, figli, nipoti), l’astensione in Senato del centrodestra sulla creazione di una “commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza” resterebbe nel quadro della scontata divergenza fra maggioranza e opposizione parlamentare. Quelle leggi però ci sono state, restano nella storia della nostra nazione e sono affidate alla coscienza che ciascuno di noi ne ha (se siamo capaci di assumerla in toto, e non à la carte). Fatti che rendono quanto meno capricciosa e surreale la considerazione del fascismo come espressione di amor di patria, coltivata tuttora dai nostalgici organizzati in Forza Nuova e Casa Pound, accolti nella “casa comune” del centrodestra di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, con Forza Italia di Silvio Berlusconi al seguito. E non è superfluo fare presente che non pochi di quei nostri concittadini sono finiti nei campi di sterminio e non ne sono tornati, come per sua e nostra fortuna è accaduto a Liliana Segre, che oggi siede in Senato a vita.
Una scelta meditata e collettiva quella del centrodestra questa volta, e non lo scatto personale di un singolo militante, subito sostenuto “di fronte a tutti” dal capo in persona. Com’era accaduto nei primi giorni di agosto dell’anno scorso, quando il neo deputato della Repubblica Lorenzo Fontana, da due mesi ministro per la famiglia e la disabilità del primo governo Conte, con dichiarazioni e commenti, appunto, ministeriali, diede sulla voce a Michele Ainis che il giorno prima, su Repubblica, aveva ricordato ai suoi lettori la scarsa applicazione di una legge, quella cd. Mancino n. 205/25 giugno 1993, che sanziona e condanna “gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista, e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi e nazionali”. Un riflesso condizionato allora, quello di Fontana, che dopo qualche ora di scambi polemici sui media assunse il valore di una posizione politica di primaria importanza nelle foto, subito diffuse, del ministro in posa su una spiaggia, in sorridente compagnia del vice-premier leader del suo partito, che lo aveva voluto vicino (dai tempi della Colonna Traiana, ritrarre qualcuno accanto al capo politico vuol dire qualcosa.)
Prima di correre a conclusioni affrettate, e di sfidare l’insofferenza dei nostri Tartuffe, resta da stabilire se questa scelta di merito del centrodestra sia indicativa di un punto di programma e sia organica alla politica che oggi esso propone al popolo italiano e si impegna a realizzare grazie al consenso guadagnato nelle urne: oppure se siamo ancora, e tutto si risolverà, nel contesto della diatriba fra schieramenti contrapposti, nella ricerca di consensi “O di qua! O di là!” messa in scena ogni giorno dai nostri media post-moderni, e gestita con i noti risultati dai partiti e dagli schieramenti che hanno dominato la politica italiana nell’ultimo quarto di secolo.