Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha recentemente adottato una postura apertamente conflittuale nei confronti dell’Unione Europea, attaccando pubblicamente aziende simbolo del settore tecnologico e minacciando l’imposizione di dazi doganali del 50% sulle importazioni statunitensi provenienti dal mercato europeo. Tali dichiarazioni si inseriscono in una più ampia traiettoria di politica commerciale caratterizzata da approcci unilaterali, logiche coercitive e un marcato disinteresse per le regole multilaterali. In questo contesto, le relazioni economiche transatlantiche risultano sempre più vulnerabili, mentre la stabilità dell’ordine commerciale internazionale appare esposta a rischi crescenti.

In ambito europeo, il dibattito si è rapidamente polarizzato attorno a due opzioni: aprire un tavolo negoziale con Washington per evitare l’escalation o rispondere con misure ritorsive. Tuttavia, questa dicotomia trascura una terza possibilità, potenzialmente più efficace e meno onerosa: ignorare le provocazioni della Casa Bianca.

In effetti, tanto le strategie di negoziazione quanto quelle di ritorsione presentano criticità evidenti. Sul piano negoziale, l’ostacolo principale risiede nella totale incertezza circa le richieste effettive dell’amministrazione Trump. Tra le ipotesi ventilate figurano modifiche al sistema IVA europeo, un impegno all’acquisto di gas naturale liquefatto (GNL) o di equipaggiamenti militari statunitensi, fino alla rottura dei legami economici con la Cina. Tuttavia, nessuno è in grado di definire con certezza quali siano gli obiettivi concreti di Trump.

Questa opacità rivela un ulteriore nodo critico: l’imprevedibilità del presidente statunitense, che non esita a intimidire tanto gli alleati quanto gli avversari. Anche qualora si raggiungesse un accordo, resterebbe il rischio costante che Trump lo disconosca unilateralmente per ottenere concessioni ulteriori. In tale contesto, l’utilità stessa del negoziato appare fortemente compromessa.

Nemmeno la via delle contromisure commerciali offre prospettive migliori. I dazi imposti dagli Stati Uniti, in quanto imposte indirette sulle importazioni, finiscono per gravare sui consumatori e sulle imprese americane. Aggiungere dazi europei in risposta significherebbe infliggere un danno anche alle economie dell’Unione, accentuando l’effetto boomerang di una guerra commerciale.

Inoltre, è altamente probabile che i governi dell’UE faticherebbero a concordare un pacchetto di sanzioni comuni, con il rischio di alimentare divisioni interne. Paesi come Belgio, Francia, Irlanda e Paesi Bassi, fortemente dipendenti dalle importazioni statunitensi, temerebbero effetti inflazionistici. Altri, come Germania e Italia, che vantano una rilevante esposizione export verso gli Stati Uniti, temerebbero una spirale di ritorsioni fuori controllo.

L’incapacità dell’UE di prevedere le contromosse americane in caso di risposta aggressiva, unita alla tendenza di Trump ad esasperare il confronto commerciale — come dimostrato dall’ipotesi di dazi fino al 145% nei confronti della Cina — rende la strategia della ritorsione ancor più rischiosa.

Proprio il caso cinese fornisce spunti interessanti. Trump ha più volte fatto marcia indietro, come dimostrano il rinvio dell’attuazione di dazi annunciati ad aprile e la tregua commerciale con Pechino raggiunta a maggio. Sebbene le motivazioni non siano del tutto chiare, è plausibile che la pressione esercitata da gruppi industriali e l’instabilità dei mercati finanziari abbiano influito sulle sue decisioni. Uno scenario analogo potrebbe ripetersi con l’UE, considerata la principale fonte di importazioni statunitensi, con un volume pari a 606 miliardi di dollari nel 2024 — circa un terzo in più rispetto alla Cina.

In definitiva, l’UE si trova in una posizione complessa, priva di opzioni reattive realmente vantaggiose. In tale contesto, l’inerzia strategica — ovvero la scelta consapevole di non reagire — potrebbe rivelarsi la risposta più razionale. Questa decisione, oltre a proteggere l’Unione da una crisi commerciale autolesionistica, potrebbe rappresentare un precedente virtuoso per altre economie nel gestire un contesto globale sempre più instabile.

Non tutte le provocazioni richiedono una risposta: talvolta, la vera forza risiede nella capacità di mantenere la calma e non farsi trascinare in conflitti inutili.