Funzionario, rivoluzionario, filosofo politico: questo è – con beneficio d’inventario – il resoconto della vita intellettuale di Cornelius Castoriadis, alcune delle cui maggiori opere sono oggi disponibili per il lettore italiano grazie alla raccolta di saggi intitolata “Contro l’economia. Scritti 1949-1997”, curata e tradotta da Raffaele Alberto Ventura, e pubblicata dalla Luiss University Press.

Anzitutto, chi è stato Castoriadis? Assunto come economista all’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nel 1948 – quando ancora era l’OECE, Organizzazione per la cooperazione economica europea – qui ha svolto una brillante carriera che lo ha portato nell’arco di un ventennio a divenire direttore della Direzione Studi sulla Crescita, le statistiche e i conti nazionali.

In questa veste è stato autore di uno dei più importanti studi condotti dall’Organizzazione in quegli anni, ovvero del rapporto OCSE del 1970 (The Growth of Output, 1960–1980: Retrospect, Prospect and Problems of Policy). Il contenuto del documento rappresenta in sé una preziosa occasione per inquadrare l’opera dello studioso francese; facendo parlare l’OCSE, infatti, Castoriadis espone un punto fermo della propria analisi, ovvero che l’obiettivo della crescita economica – quale trasversale e imperitura aspirazione della politica a livello globale – nel momento in cui viene perseguito senza considerarne i relativi costi sociali rappresenta un elemento di mistificazione dell’azione politica, la quale sarà portata a sottovalutare il dato di fatto per cui, anche in un contesto di crescita economica supportato dall’evidenza degli indicatori, «i frutti della crescita sono distribuiti [comunque, ndr] in modo ineguale: alcune attività, alcune regioni sono in regressione; alcuni gruppi sociali soffrono di povertà e di problemi persistenti e crescenti. […] Il processo di crescita suscita, per sé stesso, degli effetti secondari che possono essere indesiderabili, o anche nocivi, sul piano sociale, come in particolare la sovrappopolazione o al contrario lo svuotamento dei centri urbani, l’inquinamento ambientale. […] La capacità dei processi di crescita economica di soddisfare i bisogni e le aspirazioni della società nel suo insieme non dipenderà unicamente dal ritmo al quale si svilupperanno le capacità produttive; bisognerà anche tenere in conto che le aspirazioni crescono assieme all’aumento della prosperità. Ne consegue che i dilemmi relativi alle scelte sociali collettive rischiano di acuirsi via via che il livello dei redditi si alza»1.

Ora, il fatto che un rapporto dell’OCSE esprima queste perplessità, e queste esigenze, potrebbe sorprendere il lettore, non fosse altro per la natura stessa dell’organizzazione e per il contesto di cultura economica cui poteva ritenersi vicina, almeno in quegli anni. La sorpresa, tuttavia, trova una sua piena giustificazione se nell’affrescare la figura intellettuale dell’autore del rapporto – e cioè di Castoriadis – esplicitiamo un ulteriore dato biografico: egli, infatti, allontanatosi dal Partito comunista francese, nel 1948 aveva dato vita – insieme a Claude Lefort – al gruppo che avrebbe costituito il nucleo fondativo della storica rivista Socialisme ou barbarie, presso la quale, pubblicando pamphlet anonimi, avrebbe sviluppato e definito la propria figura di militante politico, passando dalla critica del marxismo al suo superamento, riuscendo – ed è poi il suo tratto peculiare – a tenere insieme la tensione di un progetto politico radicale con le radici profonde del liberalismo europeo, come testimonia la sua dura accusa contro le barbarie del socialismo reale.

Quanto appena rilevato ci mostra l’altro volto – o l’altra vita – di Castoriadis; come osserva Ventura nell’ottima introduzione dell’antologia: «[a]l cuore di un’imponente burocrazia, un funzionario critica la burocrazia. Esecutore del Piano Marshall, ne denuncia l’assurdità. Nemico del capitalismo lo consiglia, lo analizza, lo pianifica. Nel tempio della crescita, decostruisce l’ideologia della crescita. Questa contraddizione tuttavia è anche, di tutta evidenza, la ragione dell’originalità di Castoriadis: non soltanto un filosofo che quando parla di economia sa di cosa sta parlando, ma anche un economista capace di pensare la società nella sua totalità storica, simbolica, valoriale».

Rileggere Castoriadis oggi, dunque, rappresenta l’opportunità di ripercorre la vita intellettuale di uno dei più originali pensatori del ‘900, una vita nella quale idea e prassi – seppure in una apparente contraddittorietà – sono state legate insieme dalla tensione verso la liberazione dell’individuo e verso la sua progressiva autonomia, la quale non è mai stata intesa come assoluta libertà da, bensì come condizione essenziale di un soggetto sociale compiuto e responsabile, e cioè capace di autodeterminarsi nella propria comunità di riferimento nel rispetto delle regole della comunità stessa. Appare eloquente sul punto l’apertura di uno dei saggi contenuti nella raccolta – intitolato “Quale occidente?” – con il quale Castoriadis introduce la sua analisi del rapporto fra liberalismo e cultura occidentale: «[c]i sono volute montagne di cadaveri, di fiumi di sangue e di lacrime, milioni di vite spese in prigione. Così in Occidente sono sorte le cosiddette società liberali. Liberali non in virtù degli stracci di carta che servono loro da leggi e da Costituzioni, ma perché hanno imparato a dare a questi stracci di carta un’importanza centrale»2. In questo saggio si mostra con forza la cifra intellettuale di Castoriadis, venendo in risalto la sua particolare sensibilità di economista e filosofo politico nel saper tenere in considerazione il complesso del sistema di fatti e valori – qui emerge probabilmente la lezione weberiana, di cui era attento lettore – che incidono sullo sviluppo della società occidentale, specie nella misura in cui proprio ai valori culturali e politici del liberalismo viene affidato un ruolo fondativo fondamentale.

Certo, Castoriadis non può essere considerato come intellettuale organico al pensiero liberale, egli tuttavia riconosce importanza estrema al nucleo duro dei principi politici del liberalismo, a partire dalla tutela dello Stato di diritto come difesa di una certa cultura liberale, senza la quale «ogni Costituzione è semplicemente sospesa per aria, come una tautologia»3.

È questo approccio che ha probabilmente fatto di lui un marxista critico prima e un superatore del marxismo poi, in virtù del progressivo riconoscimento nella teoria marxiana di un errore di fondo dovuto alla considerazione del diritto solo come elemento sovrastrutturale e alla sottovalutazione del rapporto fra Stato di diritto e condizioni di inveramento e tutela dei diritti dell’uomo. Per Castoriadis, invece, la stessa elaborazione del concetto di Stato di diritto è espressione di una tradizione culturale della società occidentale che deve essere valorizzata per due fondamentali ordini di ragioni. In prima battuta, e sul piano assiologico, tale cultura rappresenta la prima condizione affinché sia possibile attuare il radicale programma politico di trasformazione e superamento del capitalismo nella direzione di una società più libera ed eguale; sul piano della prassi politica, invece, tale assunto disvela una ulteriore questione, quale quella dell’educazione. Con riguardo a quest’ultimo fronte, infatti, Castoriadis rileva come la conservazione dei dispositivi liberali nella società passi necessariamente dalla circostanza che questa sia composta – per lo meno in maggioranza – da individui anche loro liberali, e che dunque, da ultimo, la predetta conservazione sia legata intimamente al problema dell’eduzione e della formazione del cittadino. Ciò in quanto Castoriadis riconosce il problema moderno e contemporaneo di un’educazione che è stata spinta dalle necessità del capitalismo a valorizzare l’acquisizione di tecniche specializzate invece di mirare ad allevare4 individui autonomi, nella particolare accezione di autonomia che fa riferimento ad un individuo capace di mettere in discussione le stesse istituzioni, in uno spazio di dissenso coessenziale alla dimensione liberale e democratica: «[c]apitalismo e autonomia, lo abbiamo detto, sono i due elementi costitutivi dell’istituzione delle società occidentali e della loro crisi. L’effetto principale della loro interazione, attualmente osservabile al livello della società intera e delle singole classi, è un logoramento generalizzato del tessuto sociale […]. La sua manifestazione più flagrante è il collasso dell’autorappresentazione della società […] che porta alla disarticolazione del comportamento di tutti gli attori sociali – in quanto nessuno sa più né in che mondo si trova, né in che mondo vorrebbe trovarsi»5.

Al funzionario rivoluzionario, al marxista dissidente dell’Ovest – come lo ebbe a definire Luigi Covatta6 ricordando il convegno internazionale del 1978 organizzato a Roma da Mondoperaio su “Marxismo, leninismo, socialismo”, al quale era presente appunto Castoriadis, assieme a Flores D’Arcais, Craxi, Cafagna, Coen e Signorile – si deve quindi riconoscere, oltre che la capacità di leggere con acutezza le condizioni della società moderna, anche il grande valore di aver saputo interpretare in maniera esemplare il ruolo dell’intellettuale, riconoscendo dignità solo alla coerenza con sé stessi (come ha dimostrato nel doloroso superamento del marxismo) e mai al bisogno di approvazione da parte di “cricche e clan”7 culturali, dall’inizio della sua attività fino alla sua morte nel 1997. Oggi più che mai, dunque, una lezione di metodo per l’intellettuale contemporaneo, troppo spesso estemporaneo. Ecco perché è doveroso riconoscere il pregio non solo dell’opera di Castoriadis, attuale e preziosa per i motivi che abbiamo detto, ma anche il merito di Ventura nell’aver coltivato l’ambizione di riaccendere i riflettori su di un’eredità intellettuale tanto complessa quanto ricca.

1 Così il rapporto dell’OCSE citato nel testo poco supra, ora disponibile nella raccolta in commento, v. I costi sociali della crescita, in C. Castoriadis, Contro l’economia. Scritti 1949-1997, (a cura di Raffaele Alberto Ventura), Luiss University Press, 2022, 92 ss.

2 C. Castoriadis, Quale occidente?, in C. Castoriadis, cit., 183.

3 Ivi, 185.

4 Allevare è il termine utilizzato in C. Castoriadis, La crisi della società moderna, in C. Castoriadis, cit., 79.

5 Ivi, 169.

6 L. Covatta, In memoria di Luciano Pellicani, su www.mondoperaio.net, 11 aprile 2020.

7 Castoriadis parla proprio di “cricche e clan” quando allude negativamente a gruppi di potere all’interno della società, cfr. C. Castoriadis, Popolo ed esperti, (1983), in C. Castoriadis, Contro l’economia, cit., 146.