Se Mattarella rifiuta la rielezione, significa che si prospetta una situazione che Lui non si ritiene adatto a gestire. Ebbi modo di incontrarlo personalmente per l’inchiesta sulla Condizione Giovanile (1989-1991) quando fu audìto da Ministro dell’Istruzione; lo frequentai nella Commissione Affari Costituzionali (1993), essendo Lui Relatore della Legge elettorale (che, in disaccordo con il mio Partito, non approvai, pur segnalando la necessità di un ordine secondo cui attribuire i seggi del “maggioritario).
Anche da indizi privati, ho percepito la Sua grande gentilezza d’animo ed un’estrema prudenza, perenne e rigorosa misura verso la funzionalità delle Istituzioni, che molto si complicarono con l’elezione del 2018. E dunque, retto l’equilibrio per tutto il Settennato, se ora non accetta di proseguire in tandem con Draghi, è molto probabile ritenga si prospettino condizioni peggiori in conseguenza della crisi dalla quale ha invano tentato di trarre il sistema. I Partiti continuano, infatti, a non preoccuparsi né del debito che aumenta a danno dei giovani, né che l’Europa possa giungere a non tappare più i nostri “buchi” ed a compensare la nostra irresponsabilità, né tanto meno del 50% dei cittadini che non votano e dunque di risanare, riformandosi, il rapporto tra corpo sociale e Istituzioni.
Il Presidente della Repubblica aveva forse sperato che, affidati a Draghi, e dunque aiutati dal suo prestigio, i partiti intraprendessero la strada giusta; ma ha toccato con mano che, paradossalmente, non solo approfittano della sua “copertura”, giovandosi dell’ossigeno che lui ottiene a livello internazionale, ma lo hanno costretto a subire i loro duelli, “tirando al massimo” ciascuno per la propria clientela ed a scapito del debito pubblico. Ch’è stato perciò accresciuto non in senso produttivo (quello buono), ma in termini parassitari (32 mld per il bonus da 110%, reddito cittadinanza, quota 102, bonifico bollette, riduzioni fiscali ecc), non per lo sviluppo. Hanno inteso sia nel Pnrr che nell’accordo con Macron l’avvio del superamento del Patto di stabilità, dei vincoli Ue ai Bilanci nazionali; in Putin, che ci sceglie come mediatori, l’ulteriore consolidamento del prestigio del Paese nel campo finanziario; in Scholz una maggiore disponibilità rispetto alla linea della Merckel, e sul punto di costituire, con noi e con la Francia, il triunvirato egemone in Europa. Condizioni determinate da Draghi; perciò, secondo loro, da inchiodare a Palazzo Chigi fino al 2023. Dopo, con il nuovo Parlamento ed un altro Capo di Stato, da scaricare però ai “giardinetti”!
L’esperienza di una vita consente a Mattarella di cogliere tutta la spregiudicatezza ch’è in campo e la totale mancanza di progetti “patriottici”; di convincersi che i partiti stanno giocando “la carta Draghi” senza attenzione al futuro e tanto meno all’inflazione già arrivata al 4%. Per loro, basterebbe avviare l’attuazione del Pnrr, costringendo il Premier a restare dov’è per tutelare la Legislatura fino alla scadenza naturale, fino all’esaurimento della sua stagione politica.
Insomma, è anzitutto sotto i suoi occhi che i partiti non si sono giovati dell’opportunità ad essi aperta con il Governo Draghi e che, addirittura, i vari leader ritengono aver in mano le chiavi del gioco. Ma sa anche che Draghi è consapevole di tutto questo, come ha confermato nella conferenza stampa di Natale, quando ha “stralodato” la vasta alleanza a sostegno del Governo “che ha consentito tutti i 51 obiettivi per l’attuazione del Pnrr” (da potersi dunque attuare da un suo sostituto) e prendendo nettissima distanza dal bonus 110% e da tutto ciò che esso significa. Lì il Premier ha non solo sottolineato con vigore la sua disponibilità a fare “il nonno al servizio dello Stato”, ma anche ribadito due necessità: che il Governo si confermi per l’attuazione del Pnrr e per condurre la Legislatura alla scadenza naturale; e che la medesima maggioranza parlamentare – appunto per conservarsi – elegga unitariamente il nuovo Capo dello Stato.
Di qui, per Mattarella, la conferma esplicita che l’equilibrio di cui Egli risulta l’artefice, è da ritenersi superato, essendosi chiaramente aperto lo scontro tra il sistema dei partiti e l’ex Presidente della Bce. Scontro risolutivo per le sorti del Paese e non soltanto! Lui che invece era espressione dei partiti, e che aveva potuto governarli fino al punto da riunirli quasi tutti con Draghi, sa dunque da Draghi che essi non sono più una fonte reale di legittimazione; che anzi, giunti alla presunzione di potersi giocare Draghi con vista non oltre il 2023, si sono collocati nel mirino del Presidente del Consiglio. Il quale, padrone della scena europea, osannato persino da Putin e dalla stampa internazionale (da cui l’ossigeno ai partiti), per porsi effettivamente al servizio del Paese, non può che accettare lo scontro decisivo.
Da Premier – dopo il 2023 – dovrebbe farsi partito egli stesso aggravandosi così le prospettive per coloro che ritengono di averlo in pugno. Sicché, se questi si son posti nel mirino di Draghi, Mattarella non può né vuole frapporsi, perché di lui condivide il progetto che non sembra avere alternative per il bene del Paese. E dunque, per durare fino al 2023 e “mettere a terra” il Pnrr, i nostri eroi dovranno per prima cosa “votarlo insieme” al Quirinale; oppure, al minimo, scegliere una figura col gradimento di Draghi (per non privarsi così dell’ossigeno). Ma in tal caso dovrebbero prepararsi ad affrontarlo nel ’23, a capo di un movimento che a tutti sottrarrebbe elettori. Se infatti vuol servire la patria fino in fondo, Draghi non può rassegnarsi ai giardinetti, ma è obbligato dalla situazione ad innescare la rivoluzione che sa essere necessaria sia per normalizzare il panorama politico italiano, che per giovare a quello europeo. Meglio dunque al Colle, emulo di un Cincinnato per il tempo occorrente a “rovesciare la situazione come un calzino”?
Troppi nodi si sono aggrovigliati in misura non sostenibile per la stessa Ue che non può restare in mezzo al guado in balìa del “populismo illimitato di tutti su tutto”. In un mondo con Trump che fa carte false per tornare, un Biden molto debole, Putin che recalcitra, il Giappone “incartato” nelle retrovie, la Cina in espansione ma sempre rivendicativa, l’India in folle demografia, Brasile e resto del Sud America in ebollizione, ambiente e salute ad alto rischio per le sorti del Pianeta, non ci si può certo illudere che un uomo solo sia capace d’incidere su tutto che bolle! Ma nemmeno i leader mondiali possono sciupare le capacità emerse dal campo ed anzi, come mai, hanno bisogno di bussole. Stanno reggendo a stento le sorti di una fase tra le più complesse della Storia e non possono rinunciare ad alcuna risorsa. Non a caso l’Economist ha definito l’Italia il “Paese dell’anno” e il presidente di EssiLux, Del Vecchio, ha parlato di «un’opportunità unica ed irrepetibile di trasformare questo Paese» ma avvertendo anche che «il tempo a disposizione non sarà molto e una prossima occasione forse arriverà troppo tardi […] «E’ il momento per cambiare l’Italia», come affermato da F. Fubini sul Corriere della Sera (del 28/12). Di tutto questo, Mattarella non può non aver ragionato con i Macron, i Baden, con la stessa Merckel.
Quel che ora conta per Lui ed anche per questi personaggi, è che, in questo tornante degli eventi, tanta complessità possa avvalersi di un Leader che ha mostrato elevate capacità: da forza tranquilla non da giocatore d’azzardo. In questo modo Draghi è percepito non soltanto in Italia ed in Europa, perciò si può ipotizzare che i Leader mondiali lo vogliano sulla scena. Mentre resta aperta l’alternativa tra il Colle e palazzo Chigi (anche oltre il 2023), a giudizio di Mattarella, il gioco è dunque nelle mani di Draghi. Di conseguenza, Lui non si ritiene più indispensabile.