Il quotidiano Europa propone ora un interessante commento online di Mario Lavia sulla giornata conclusiva della festa nazionale dell’Unità, in particolare sulla foto di Pedro (Sanchez), Manuel (Valls) e Matteo (Renzi), con Federica (Mogherini) “in veste di officiante dell’inedito rito” dei socialisti in camicia bianca che si chiamano per nome. Come a sancire, nell’abbigliamento e nel linguaggio, una cesura rispetto al passato. Sarebbero, secondo l’autore, socialisti di tipo nuovo, “che rompono con la tradizione socialista”.
Eppure proprio Lavia sottolinea l’enfasi posta dal premier italiano sul merito, definendolo “di sinistra”. Come “di sinistra” sono la valorizzazione del talento e la ricerca dell’eguaglianza, assai diversa dall’egualitarismo. Vi è qui la forte eco della lezione di Blair e di Schroeder, certo; ma come dimenticare l’alleanza del merito e del bisogno proposta dal Psi nell’ormai lontano 1982?
La camicia bianca con le maniche arrotolate, è vero, simboleggia “una politica giovane che da John Kennedy in poi ha ammaliato grandi masse giovanili”. E, aggiungerei, anni prima i ragazzi europei erano attratti da Roosevelt, il presidente americano che predicava la libertà dal bisogno. Per non dire di Martin Luther King.
Nel vecchio continente si parlava spesso in politichese ed era un fenomeno trasversale. Eppure non sfuggivano agli osservatori e all’opinione pubblica le innovazioni nel lessico e nello stile: chi non ricorda, ad esempio, la “brevitas craxiana” (frasi brevi con frequenti pause, al posto dei soliti prolissi monologhi)? O l’immagine, sempre del leader socialista, in sahariana e jeans?
La tradizione, ecco il succo del discorso, non è un monolite. Molto cambia, tanti tabù vengono infranti: è la stessa tradizione, se ancora viva, a esigerlo. Non a caso talvolta risulta indispensabile inventarne una.