Sul Corriere di ieri Luigi Accattoli osserva che papa Francesco, a differenza dei suoi predecessori, nel corso del viaggio che lo ha portato a Rio de Janeiro si è sottratto alle domande dei giornalisti per “non permettere che a dettare l’agenda della sua predicazione sia la logica dei media”. Fra tante narrazioni deamicisiane delle gesta del nuovo papa finalmente un’osservazione che fa pensare. E che può essere utile più di un’enciclica per illuminare il cammino di un’umanità che invece si è abituata a conformarsi al palinsesto. Può essere utile perfino per illuminare il cammino della politica italiana. Non è la prima volta, del resto, che tocca a un papa salvare la nazione. Toccò a Pio XII, giusto settant’anni fa. Questa volta, però, l’intervento salvifico non si manifesta attraverso le “falangi di Cristo redentore” che organizzava Gedda e l’unità politica dei cattolici che tessevano De Gasperi e Montini. Per citare ancora Accattoli, passa attraverso l’esempio “del fare senza dire” offerto da papa Francesco. Più efficace, ci mancherebbe altro, dell’intemerata di Enrico Letta contro “i fighetti” che cercano “l’applauso individuale con un tweet”. Ma dello stesso segno.
Accattoli cita il Vangelo, che consiglia di essere “candidi come colombe e astuti come serpenti”. Una bella differenza da certi fighetti da talk show che sono candidi come serpenti e astuti come colombe.