Ma quale potrà essere il contributo dei media (della stampa come delle radiotelevisioni), così impegnate a  non dare spazio a post-verità, a manipolazioni interessate, alle passioni più perverse che si scatenano nell’anonimato della Grande Rete, se – come si può leggere nell’ordinanza della Procura della Repubblica di Roma del 4 marzo scorso – «gli accertamenti fin qui espletati hanno evidenziato che le indagini del procedimento a carico di Alfredo Romeo ed altri sui fatti (poi) di competenza di questa procura sono state oggetto di ripetute rivelazioni di notizie coperte da segreto, sia prima che dopo la trasmissione degli atti a questo Ufficio, sia verso gli indagati o comunque verso persone coinvolte a vario titolo, sia nei confronti degli organi di informazione»?

Come escludere che comportamenti contrari alla legge, oltre ad alterare il contesto e forse anche i fatti cui si riferiscono le indagini in corso, abbiano altrettanto gravemente inquinato la rappresentazione dei fatti messi in scena e pervaso, se non proprio sostenuto, le architetture e le narrazioni proposte e riproposte quotidianamente dai media nelle ultime settimane e i processi di formazione dell’opinione pubblica che ne sono stati attivati?

Ci si chiede: che contributo di responsabilità possono dare redazioni e direzioni editoriali verso lettori e spettatori ignari, verso i cittadini e le (altre) istituzioni della Repubblica così malamente serviti nella loro buona fede, con atti equivalenti all’«esigenza di chiarezza» per la quale «la procura di Roma ha revocato al Nucleo operativo ecologico la delega per le ulteriori indagini che è stata affidata al Nucleo investigativo di Roma dell’Arma dei carabinieri»? Non c’è nulla che i media possano/debbano fare per contribuire a disinquinare un ambiente così invaso dalla polluzione giudiziario/mediale ancora una volta sperimentata e dalle scorie che ancora si respirano nell’aria?