In psicopatologia, per comprendere certi fenomeni, occorre talora porre in parentesi il perché e concentrarsi sul come. Analogamente per un istante possiamo provare a osservare gli scenari politici italiani senza preoccuparci delle cause, soffermandoci piuttosto sulle modalità.
È risaputo, ad esempio, che la Germania ha cicli politici lunghi. Altri paesi conoscono anche cicli brevi di prevalenza delle forze orientate a destra oppure a sinistra. Potremmo rilevare infinite sfumature. Da noi spesso sorridiamo dinanzi alla parola “regime” impiegata dai radicali, ritenendola una forzatura. Eppure in quel sostantivo è riposto forse un nucleo di verità. Durante la prima Repubblica, poniamo, vi erano un partito egemone di governo e un altro egemone di opposizione. Non cicli, dunque, piuttosto “blocchi”. Certo, abbiamo conosciuto le fasi del centrismo, del centro-sinistra, della solidarietà nazionale, del pentapartito; ma lo sfondo restava immutato, pur nell’impasse o nella crisi. I cittadini desiderosi di cambiamento disponevano di ben poche possibilità. Votare Pci non conduceva all’alternativa. Votare Psi dava slancio ai propositi riformatori, ma non approdava alla loro realizzazione. Insomma: impotenza e stasi, a dispetto dell’instabilità.
Oggi quasi tutti concordano nel parlare di “ventennio berlusconiano”, a proposito del periodo successivo (nonostante le affermazioni elettorali del centrosinistra, pure avvenute in tale fase). Di nuovo non si è trattato tanto di cicli, quanto di espressioni di una sorta di “regime” dal duplice volto: il berlusconismo, l’antiberlusconismo. Come dire: il Cavaliere misura di tutte le cose. Da qui la compresenza di due sensazioni in apparenza contrastanti: quella di essere immersi nel caos e quella della paralisi. Timori di svolte autoritarie e paura di un disordine anarcoide. Una specie di fluidità congelata. In attesa che il “regime” ceda il passo ai “cicli”.