Mi domando: sarebbe possibile, in Italia ed in Europa, un fenomeno simile a quello che in questi giorni sta letteralmente terremotando l’Egitto soltanto qualche anno dopo la così detta “Primavera Araba”? In parole povere: si potrebbe verificare qui un movimento di piazza, massiccio e costante, tale da indurre uno dei poteri dello Stato, quello militare per la circostanza, ad assumere decisioni sostanzialmente eversive ed in contrasto con il risultato elettorale, “vecchio” soltanto di un anno? In democrazia, si sa, solo altre elezioni possono cambiare il corso delle cose. Non possono essere i militari a sentenziare, usando la forza degli “arresti domiciliari” inflitti al presidente Morsi, che a seguito del movimento di piazza si debbano indire nuove elezioni, dopo aver già nominato un presidente ad interim. Queste, salvo un mio errore, sono le regole della democrazia, occidentale.
Poi, naturalmente, ci sono le considerazioni pragmatiche, che scaturiscono dalla situazione sul campo. In Egitto, per esempio, allo stato delle cose solo l’uso della forza, con relativo bagno di sangue in “stile siriano”, avrebbe potuto forse garantire il rispetto di quelle regole della democrazia. Al netto di una premessa fondamentale, che riguarda il fattore religioso, che risulta sempre più determinante in quelle difficili realtà del Medio Oriente, sorgono mille interrogativi sulla opportunità di determinare una tragedia, che l’uso della forza sicuramente avrebbe provocato. Certo, non è neanche detto che la parte per ora sconfitta si adegui e non scateni essa una controreazione dagli esiti possibili altrettanto tragici. I fatti diranno degli sviluppi nei prossimi giorni.
Intanto restano le riflessioni: in Europa ed in Italia situazioni come quella egiziana sono impensabili. In Italia la democrazia è consolidata, ancorchè relativamente giovane, e le Forze armate sono fedeli, anche in considerazione del fatto che i vertici vengono selezionati e nominati dal governo, cioè dal potere politico democraticamente espresso. Epperò è il caso di due ulteriori riflessioni: in questo tempo di crisi, con milioni di giovani senza lavoro e senza futuro, ha soffiato, e soffia, il vento della protesta rabbiosa, “incanalata” per l’Italia dal Movimento 5 Stelle, che in questo caso, a mio parere modesto, ha svolto il ruolo di “ammortizzatore democratico”. A prescindere dal fatto che quel Movimento non riesce a dare risposte di governo, possiamo essere certi che il fuoco della protesta qui da noi si sia esaurito, magari per le vaghe iniziative di questo governo?
Ancora: a parte il goffo tentativo del generale De Lorenzo del 1964, di cui al “ tintinnio di sciabole” che impressionò Pietro Nenni tanto da indurlo a recedere di molto (forse era questo il vero obiettivo di quel tentato “golpe”) sul piano delle riforme di struttura comprese nel programma di governo del centro-sinistra (il primo Moro-Nenni), per il resto fenomeni “eversivi” in Italia non se ne sono più verificati. Tuttavia, come vogliamo “catalogare” il fenomeno di Tangentopoli, di cui protagonista fu il potere giudiziario? Ragioniamo: anche in quell’occasione ci fu la piazza (e che piazza!), ci furono le monetine su Bettino Craxi da parte da una folla inferocita, ci fu un moto di opinione che delegittimò i partiti e la classe politica di allora. Le televisioni ed i giornali martellarono sull’argomento con iniziative assolutamente straordinarie, come la diretta TV sulla prima rete Rai della requisitoria del magistrato molisano (per lui ora solo cristiana comprensione!) alla pari dello sbarco del primo uomo sulla Luna!
Tutto questo “legittimò” quell’uso davvero straordinario da parte del potere giudiziario delle leggi ordinarie dello Stato e provocò una sorta di obbligo morale alle dimissioni di chiunque fosse raggiunto da un semplice avviso di garanzia, che per l’occasione diventava una sorta di condanna definitiva, senza che un processo fosse stato istruito e celebrato. Al netto dei suicidi, delle sofferenze di uomini e famiglie (di fronte alle quali le miriadi di assoluzioni postume non furono di lenimento alcuno), credo si possa dire, cogliendo la drammatica situazione dell’Egitto, che anche nella consolidata democrazia italiana si è verificata la circostanza di un potere, quello giudiziario – “legittimato” (e qui la similitudine con l’Egitto è palese) dalla piazza inferocita amplificata dai mass-media – che ha alterato il normale e corretto gioco democratico fino a determinare lo scioglimento del Parlamento, “reo” di avere fra i suoi membri numerosi destinatari di avvisi di garanzia.
Quei parlamentari furono bollati come “ inquisiti” e mandati a casa insieme a tanti che erano, buon per loro, illibati. Tutto questo al netto della classe politica del tempo, che fu decapitata senza alcuna possibilità di “recupero”, neppure per quelli che poi furono assolti. Ai miei 7 lettori: è davvero improprio il paragone del tempo di Tangentopoli con quanto sta accadendo in Egitto? O questo non è l’ennesimo monito perché si vigili sempre per la difesa del valore e dei principi della democrazia ?