Dopo che alcuni parlamentari del Pdl hanno proposto la depenalizzazione dell’illecito finanziamento dei partiti, su alcuni giornali è cominciata una campagna che non ha niente da invidiare a quella scatenata vent’anni fa dal pool di Milano e dal “popolo dei fax”. In proposito riporto la lettera che ho inviato al direttore della Repubblica, Ezio Mauro.

Caro Direttore,

ha proprio ragione il presidente dell’Anm nell’intervista alla Repubblica del 26 gennaio: senza le norme ancora in vigore sull’illecito finanziamento dei partiti l’inchiesta “Mani pulite” sarebbe stata impossibile. O meglio, ne sarebbe stato impossibile l’uso politico che se ne fece, e sarebbero stati diversi gli esiti politici che ne derivarono.
Secondo Sabelli, infatti, la violazione dell’articolo 7 della legge 195 del 1974 costituì “un pilastro” di quella inchiesta. Più che un pilastro, per la verità, fu un “grimaldello per aprire la porta delle indagini verso la corruzione”, come riconoscerà anni dopo Gerardo D’Ambrosio (La giustizia ingiusta, Rizzoli, 2005). Un grimaldello, per giunta, che consentiva di selezionare preventivamente l’area verso cui indirizzare l’indagine, dal momento che la violazione del reato in questione era stata più volte oggetto di amnistia fino al 1989, per cui nel 1992 si potevano perseguire solo i reati commessi negli ultimi tre anni (durante i quali, fra l’altro, erano sicuramente cessati i finanziamenti sovietici al Pci, ed anzi, alla fine, era cessato anche il Pci).
Nel 1993 fui io, nella I Commissione del Senato, il relatore del disegno di legge che poi il governo fece proprio col “decreto Conso”, e che prevedeva la depenalizzazione di quel reato. E ricordo che alla fine del non lunghissimo iter del provvedimento mi fu di conforto un tuo editoriale sulla Stampa del 28 febbraio, nel quale auspicavi una soluzione che evitasse “il colpo di spugna per tutti, ma anche il massacro indistinto dei piccoli colpevoli accanto ai grandi colpevoli”, e ribadivi che “è solo la politica che può restituirci la capacità perduta di distinguere”; così come mi fu di guida un altro editoriale, a firma di Alessandro Galante Garrone, che comparve il giorno dopo sul giornale che allora dirigevi e che a sua volta invitava a distinguere “tra i vari delitti previsti dal codice penale (corruzione, concussione, ricettazione e così via)” e “le violazioni della legge 5 maggio 1974”, per le quali “si potrebbe tranquillamente giungere a una sensibile diminuzione della pena o addirittura a una depenalizzazione, fatte salve le debite sanzioni amministrative”.
Come andò a finire lo sappiamo, e “il massacro indistinto dei piccoli colpevoli accanto ai grandi colpevoli” spazzò via un’intera classe politica (amnistiati a parte). Ma questo è un altro discorso. Il discorso attuale, invece, riguarda l’efficacia deterrente della sanzione penale in questione. Stando alle cronache, in questi vent’anni non è stata granchè. Senza dire che la goffaggine con cui al “finanziamento pubblico” si sono sostituiti i “rimborsi elettorali” non ha fatto che moltiplicare le occasioni per delinquere, mentre il disegno di legge del governo (che fra l’altro riprende molte delle soluzioni prospettate vent’anni fa a sostegno delle attività dei partiti) se non altro di queste goffaggini fa giustizia.

Grato per l’eventuale pubblicazione, ti saluto cordialmente

Luigi Covatta