Per Vittorio Feltri (sul Giornale di oggi) Bertone e Bagnasco hanno addirittura “venduto il Papa a Monti per 17 milioni”. Per tutti gli altri, comunque, si è verificato un fatto epocale. Il sostegno dell’Osservatore romano all’ancora ipotetica “lista Monti” ha fatto perdere il senso della misura a più di un commentatore. A Gad Lerner anche il senso del ridicolo, quando ha puntualizzato che l’appoggio è venuto “da una Segreteria di Stato straniera”, come se invece l’appoggio del Ppe fosse stato made in Italy (pignoleria per pignoleria, poteva scrivere “una Segreteria di Stato extracomunitaria”).
Meglio stare calmi, invece. E lasciare in pace De Gasperi e Pio XII. La storia non si ripete, se non alle condizioni descritte da Marx nel Diciotto Brumaio. Nel caso, non solo perché l’Italia non esce dalle distruzioni di una guerra e dalla caduta di una dittatura e di una dinastia. Anche perché la Chiesa italiana ha da tempo rinunciato al ruolo che seppe svolgere nel 1943. Vi ha rinunciato vent’anni fa, quando ha assistito in operoso silenzio al tracollo di un altro regime e alla dissoluzione del partito che ne era stato egemone, e col quale peraltro si era fin troppo identificata. E forse vi aveva già rinunciato quando, vent’anni prima, non aveva voluto leggere i segni dei tempi, e aveva continuato a pretendere una unità politica dei cattolici che non corrispondeva più nè ai bisogni del paese, né all’orientamento dei fedeli.
Meglio stare calmi, quindi. E non citare i sondaggi della Swg per affermare che “fra i cattolici praticanti il primo partito è il Pd”, come ha fatto oggi sulla Repubblica il mio amico Luigi Bobba. Il quale invece dovrebbe chiedersi come mai, con tanti cattolici ai vertici del Pd, il suo successore alla presidenza delle Acli, il segretario della Cisl e il fondatore della comunità di Sant’Egidio abbiano scelto di intrupparsi con Montezemolo.
E’ difficile, in questo quadro, non sottolineare l’irrilevanza della componente cattolica del Pd. Eppure non si può dire che essa non si sia fatta sentire: sui cosiddetti “temi bioetici”, e soprattutto sulla collocazione internazionale del partito. Ma per fare una cultura politica non basta non volere “morire socialisti”, e neanche non volere morire di eutanasia. Sarebbe servito, invece, rivendicare i meriti del riformismo italiano (quello che per trenta e più anni si è incarnato nella collaborazione fra cattolici e socialisti), se non altro per non consegnare la bandiera della socialdemocrazia ad alfieri improbabili come Fassina.