Mercoledì scorso, 10 maggio, nella rubrica da lui curata sul Corriere della sera (intitolata per l’occasione “Me ne inFisco”), Massimo Gramellini ha dato forse un contributo non marginale alla crescita della coscienza nazionale alla quale, nel protrarsi della crisi economica, politica e istituzionale, è oggi più che mai affidata la salvezza degli italiani.
Venuto a conoscenza, come tutti, dei risultati degli studi di settore che documentano la deplorevole condizione dei commercianti italiani (che si aggiungono alle dichiarazioni dei redditi in base alle quali operai, impiegati e piccoli artigiani hanno redditi spesso molto superiori a quelli dichiarati dalle più varie categorie del lavoro autonomo e di proprietari immobiliari e di azioni e obbligazioni), Gramellini nota che “questo genere di studi contribuisce non poco ad alimentare quel clima di rancore indistinto e rabbia repressa che avvelena il discorso pubblico, al bar come sul web”. E chiede un favore ai “signori delle tasse: evitate di dirmi quanto guadagnano e quanto versano o non versano le varie tribù di italiani. Prendete gli evasori veri, quando li trovate. Per il resto preferirei non sapere più niente”.
Forse anche a scelte come questa è affidata da tempo la “convivenza civile” degli italiani. Ed è anche  possibile che solo a questa condizione si possa fare ogni giorno ai lettori la morale a proposito di questo o quell’episodio o aspetto della nostra vita collettiva. Resta da sapere che ruolo vengono a svolgere in questo contesto i media, a stampa e audiovisivi, con le loro notizie e soprattutto con le loro “narrazioni” dell’Italia e del mondo.