Quale era – e quale dovrebbe poter essere, ancora – la giustificazione politica dell’operazione politica che ha portato alla formazione del Governo Letta?
Le «larghe intese» devono rispondere a due obiettivi essenziali: 1. la difesa contro il M5S; 2. la ri-legittimazione del sistema parlamentare. Sino ad oggi, tuttavia, l’accordo Pd – Pdl non è stato capace di pensare realmente compiti e metodi politici necessari a questi scopi.
1. Poiché Pd e Pdl non hanno ancora compreso le caratteristiche reali del M5S – la sua natura reazionaria –, essi hanno sinora commesso un errore fondamentale.
Errore che consiste nel ritenere che l’opposizione “sistema dei partiti” / M5S si possa risolvere (e si sia, in parte, già risolta) a livello elettorale. Ossia che questa opposizione sia destinata ad essere superata attraverso una serie di sconfitte elettorali del M5S (quali quelle nelle recenti amministrative).
Si pretende così, però, di risolvere l’illegittimismo attraverso l’elettoralismo. O, più correttamente: si pensa di poter risolvere la perdita di legittimazione dei partiti (ed il corrispondente vuoto che il M5S occupa) attraverso il successo elettorale. Un problema di ordine politico, tuttavia, non si risolve che con una risposta politica, e non semplicemente elettorale.
Il M5S attraversa, certamente, una crisi interna, che peraltro è, in larga parte, fisiologica. Essa, infatti, è dovuta essenzialmente a due ordini di problemi:
a) capire come sarà possibile andare al Governo da solo senza un corrispondente aumento dei voti. Dal punto di vista elettorale, ossia in termini numerici, il M5S ha già raggiunto il massimo obiettivo possibile. Esso, pertanto, sa che tutto si gioca sul piano politico, ancor prima che su quello elettorale. Ossia non sulla quantità di voti, quanto piuttosto sulla loro conversione percentuale (ripartizione in seggi). E quest’ultima dipende, principalmente, da fattori politici (astensionismo, divisione dei voti tra gli avversari, legge elettorale, etc.).
b) istituzionalizzare definitivamente il movimento, ossia renderlo – come, di fatto, esso era già da sempre – «partito» (nonostante la retorica partito / movimento, del tutto vuota). Ciò implica necessariamente il passaggio dall’organizzazione all’istituzione, con la sua dialettica interna di tradimenti.
Non ci sarà una crisi reale del M5S (ossia: il M5S non sarà realmente superato) sino a quando non entrerà in crisi il senso illegittimistico della sua politica.
2. È per questa ultima ragione che l’accordo Pd-Pdl deve avere carattere costituente. Pure, anche in questo caso, le larghe intese hanno commesso due errori fondamentali:
a) hanno confuso il carattere costituente con la riscrittura parziale della carta costituzionale: nomina dei “saggi” e della Commissione;
b) hanno scambiato un problema politico (la legittimità) per un problema giuridico (l’innovazione legislativa): «decreto del fare».
La legittimazione di un sistema politico, tuttavia, attiene alla costruzione del senso. Essa rimanda ad una certa «strategia» che non ha natura giuridica. La legittimità riguarda la giustificazione del potere e mette pertanto in gioco il ruolo dell’ideologia, la produzione di credenze, di rappresentazioni, di discorsi. La legittimità non passa per la normazione giuridica, ma per la produzione: è una macchina («macchina mitologica», «macchina di parole», «macchina di scrittura», etc.) che la rende possibile, e non una norma. Occorre un lavoro di assemblaggio, montaggio, selezione, manipolazione.
È per questa ragione che la revisione della Costituzione non implica, di per sé, il passaggio ad un momento costituente. C’è, qui, un’ambiguità di fondo, più volte sottolineata (si pensi a Burdeau, il quale parla, a proposito della revisione, di potere costituente costituito).
L’accordo Pd-Pdl, per essere realmente costituente, avrebbe dovuto, allora, articolarsi attraverso una strategia politica in grado di produrre una serie di spostamenti di senso interni al sistema e, in particolare:
a) la fine dell’ideologia del «berlusconismo» (e, in modo corrispondente, dell’«antiberlusconismo»). Si tratta, infatti, di un’ideologia superata, ossia divenuta inefficiente. Essa, infatti, non è più in grado di svolgere la sua funzione, che era quella di garantire la riproduzione delle condizioni politiche reali che, dal 1994 al 2010, avevano consentito al sistema di equilibrarsi attraverso l’opposizione Centrodestra – Centrosinistra.
b) la ricostruzione degli «apparati ideologici» di Stato. Non c’è possibilità di una ri-legittimazione del sistema parlamentare (che è il sistema dei partiti) se non attraverso un ri-ordinamento interno di tutta una serie di apparati ideologici (ossia di quelle «macchine» che consentono la riproduzione – lavorando sull’immaginario – delle condizioni di produzione del sistema) di cui lo Stato ha perduto il controllo. Ci si riferisce, in particolare, alla magistratura ed alla stampa (ma varrebbe anche per il sistema sindacale, per la Corte Costituzionale, per i rapporti Stato / Chiesa, etc.)
La magistratura non serve ad «applicare» la legge (giustizia), così come la stampa non serve a «comunicare» notizie (informazione). La giustizia e l’informazione sono macchine che producono rappresentazioni,  funzionali ad assicurare il ri-prodursi dei rapporti reali di potere.  Non credo occorra, qui, dilungarsi in una ricostruzione e spiegazione delle attuali disfunzioni di questi due apparati;
c) la produzione di una nuova teoria politica. Questa è l’operazione più astratta ma al contempo decisiva. Non si può negare che il passaggio costituente sarebbe un’esperienza «di contraccolpo», di natura essenzialmente difensiva di fronte alla crisi aperta dal M5S. Esperienza in cui, pertanto, la pratica si fa senza teoria. La teoria ha, tuttavia, una sua specificità ed una sua funzione pragmatica essenziale, ha la possibilità di orientare la pratica. Il concetto di cane non abbaia, è vero. Ma può produrre-imporre effetti ideologici e discorsivi: obbliga ad affermare che ogni cane abbaia; obbliga a parlare del cane in un certo modo. Se, pertanto, ogni teoria è sempre una prassi, siamo di fronte ad un problema di produzione e costruzione di una teoria all’avanguardia, che sappia imporre le giuste «parole d’ordine» per la pratica futura.
Sino ad oggi, le «larghe intese» si sono rivelate del tutto inadatte ed impreparate di fronte ai compiti che avrebbero dovuto assolvere. Si devono criticare le due illusioni che reggono l’accordo Pd-Pdl:
– l’illusione elettoralistica, la quale consiste nel credere: 1. che l’opposizione al M5S, alla crisi del sistema politico, si possa risolvere sul piano elettorale; 2. che il senso delle «larghe intese» consista in un rafforzamento delle posizioni elettorali di Pd e Pdl;
– l’illusione costituente, la quale consiste nel credere: 1. che il momento costituente coincida con una nuova regolamentazione giuridica dei rapporti politici; 2. che la revisione costituzionale importi, di per sé, un effetto di ri-legittimazione del sistema politico.