Capita che un fatto di cronaca spinga a lasciare da parte le occupazioni abituali per seguire un pensiero, una curiosità suscitata da qualche commento: e che di nuovo la cronaca, dopo qualche giorno, proponga intrecci e suggerisca chiavi di lettura immediate, tutte da verificare poi nel tempo. Capita, nel caso, che la morte di Giuseppe Galasso, storico e politico napoletano che ha onorato la cultura e la politica dell’Italia repubblicana, induca a leggere i necrologi che ne son seguiti trovando un punto comune in quelli della Repubblica e del Foglio: la segnalazione di un momento di pregio del suo percorso intellettuale e politico, la sua discussione con Gerardo Chiaromonte, dirigente fra i massimi del Pci, che l’editore Laterza raccolse quasi quaranta anni fa, nel 1979, in un volumetto dal titolo L’Italia dimezzata: sulla lettura del quale, subito cercato e preso in prestito in una biblioteca di Roma, sono piombati i risultati delle elezioni politiche di domenica scorsa.

Come l’avrebbero presa, Galasso e Chiaromonte, questa fenomenale conquista del consenso elettorale – poco meno del 50% dei voti espressi – nel Mezzogiorno d’Italia, isole comprese, da parte del Movimento 5stelle? Questo Sud finalmente unificato, si potrebbe dire, nel 2018 dentro e attorno a un unico soggetto politico nazionale? E che curvatura avrebbe preso il loro confronto sul punto che li arrovellava: e cioè che i problemi del Meridione dovessero divenire parte integrante dei problemi dell’Italia unita, così da trovare soluzione con essi, o se un intervento specifico, in qualche modo “straordinario”, fosse indispensabile rispetto a una strategia nazionale centrata per tanti motivi – storici, di risorse ed esperienze produttive accumulate, di prospettive di sviluppo da non perdere – su altre priorità. Forse anche Gerardo Chiaromonte si sarebbe stupito che una sua affermazione (“Influisce, fra la gente, un senso di frustrazione: sentirsi parte emarginata del paese”, p. 21), così evocativa della “lunga durata” del sentimento meridionale nell’Italia unita, potesse oggi aggiungersi a quelle più recenti, legate alla mondializzazione capitalistica e all’unificazione europea, relative alle “periferie” che dal 2016, dal successo della Brexit e di Donald Trump, non mancano di proporsi come chiave di lettura delle scelte elettorali “populiste”.

Allo stato non è dato prevedere quanto potrà risultare utile, in termini di interpretazioni fondate e di proposte valide ed efficienti, e anche rispettoso della sovranità popolare, inoltrarsi nei tanti possibili andirivieni fra passato e presente che la materia offre. Come il confronto fra la carta politica dell’Italia del Congresso di Vienna e la mappa elettorale del 4 marzo proposta dal Giornale del 6 con il voto ai 5stelle che domina nell’ex Regno delle Due Sicilie più Sardegna e Marche. E come potrebbe essere – per fare un altro esempio – rievocare la campagna elettorale del Comandante Achille Lauro, eletto sindaco di Napoli nel 1952. Si parlò allora di una scarpa che il suo successo avrebbe assicurato all’elettore, facendo il paio con quella distribuita in precedenza. Chi ha letto oggi il programma dei 5stelle di scarpe ne ha trovate diverse – spiritualizzate, trattate come si deve nella società postmoderna della seconda Repubblica – e si può capire che Di Maio, che non ha i mezzi del Comandante, possa chiamare tutti ad aiutarlo a dare la seconda ai suoi elettori, in particolare nel Meridione d’Italia.