Da semplice lettore di giornali quotidiani apprendo che la Camera dei Deputati, a ranghi ridotti (349 votanti su 650) e in prima lettura, ha statuito che “non possono assumere l’ufficio di amministratore giudiziario… il coniuge, i parenti fino al quarto grado, gli affini entro il secondo grado, i conviventi o commensali abituali del magistrato che conferisce l’incarico”. Con questa norma “si estende di un altro passo la legislazione antimafia nel perimetro dei reati contro la pubblica amministrazione”. A commento Luciano Violante ritiene opportuno ricordare che “applicando questa come tutte le leggi il magistrato deve essere competente, attento a non danneggiare nessuno, e in buona fede”. Ma il Csm non dovrebbe garantire alla comunità nazionale il presidio, in autonomia e responsabilità, di simili ovvietà da parte dei magistrati italiani? E non lasciare andare le cose al punto da rendere “necessarie norme dure” (!!?!), evidentemente adeguate a una deriva che sembra avvicinare quello che a Giacomo Leopardi suonava ancora come un paradosso: una legge che obblighi tutti a rispettare le leggi?