Quando Montesquieu elaborò la teoria dell’equilibrio dei poteri non tenne conto del ruolo che il sindacato italiano avrebbe rivendicato per sé. Nella prima Repubblica, nella logica complessiva del consociativismo di fatto fra Dc e Pci, la Cgil, con Cisl e Uil in ruolo subordinato, era un riferimento inevitabile di quel particolarissimo equilibrio. La sua forza era evidentissima, determinata sia dal prestigio dei cuoi capi, a cominciare da Di Vittorio e Lama, sia (forse soprattutto) dalla stretta “cinghia di trasmissione” con il Pci, la cui politica spesso determinava le scelte della Cgil, con buona pace dell’autonomia.
Fu Pierre Carniti, alla guida della Cisl,  a rompere questo percorso. L’occasione fu il decreto sulla scala mobile del governo Craxi, il famoso decreto di San Valentino del 1984, sul quale la Cgil ed il Pci promossero il referendum nel quale risultarono
clamorosamente battuti da Bettino Craxi, lasciato solo dalla Dc, e da Pierre Carniti con la sua Cisl, con un buon contributo della Uil di Giorgio Benvenuto.
Ho avuto il privilegio di sentire dalla viva voce di Pierre il racconto dei fatti: Luciano Lama invocava, per le vie brevi e riservate, un segnale, seppur minimo, di modifica di quel decreto, con concessioni anche irrilevanti sul piano concreto ma significative su quello politico; Craxi, lasciato solo dalla Dc a fronteggiare la corazzata Cgil-Pci, prudentemente valutava i rischi di una sconfitta; Carniti gli spiegò che la posta in palio non erano i punti della scala mobile, pure importanti, ma ben altro: se in Italia il governo poteva  operare scelte senza, o contro, la Cgil  ed il Pci, oppure no. In passato mai era avvenuto e l’autonomia dei governi ne era risultata molto limitata.
Bettino capì ed ebbe il coraggio di cogliere al volo questa occasione: e vinse, determinando una svolta epocale nel sistema politico vigente. Mal gliene incolse, purtroppo: quel successo  clamoroso determinò l’inizio della sua fine. Si coalizzarono contro di lui tutti gli interessi, forti e consistenti, che da quella svolta venivano minacciati, e si scatenò quella “speciale” caccia all’uomo che, con Tangentopoli, lo ridusse all’esilio di Tunisi. Naturalmente al netto dei suoi errori politici, come l’elezione di Scalfaro, il non aver voluto evitare con la crisi di governo il referendum sulla preferenza unica nel 1991 (condizionato forse proprio dalla vittoria del 1984, senza tener conto che i tempi erano cambiati): e, soprattutto, il non aver saputo “leggere” la caduta del Muro di Berlino e le sue conseguenze.
Oggi, con un governo “amico”, Susanna Camusso sembra rivendicare le stesse prerogative che rivendicava Lama con ben altro prestigio e ben altra forza. Si lascia andare ad affermazioni gravi e pericolose in altri tempi, accusando Renzi ed il suo governo addirittura di “distorcere la democrazia” sol perché rifiuta il metodo estenuante della “concertazione”, di cui a riunioni pompose, affollate, defatiganti ed interminabili. Spesso vere e proprie maratone che, in assenza del divieto di fumo a quel dì, diventavano fumosissime e pericolose per i polmoni dei più. Un rito inevitabile, che “consolidava” quell’errore di Montesquieu, che aveva dimenticato questa anomalia tutta italiana: i poteri da tenere in equilibrio erano quattro, compreso quello sindacale.
Non è che Renzi non faccia i suoi errori, anche di comprensione dei fenomeni umani e sociali: ma decidere di limitare i permessi sindacali nella Pubblica amministrazione, e mettere on line i conti, e gli stipendi, del sindacato mi sembra sacrosanto. Mi auguro che a Matteo Renzi non debba capitare la stessa sorte di Bettino Craxi.  A parte la difesa insospettabile di Landini e della sua Fiom, mi sembra assolutamente inammissibile che la Camusso possa attaccare così frontalmente un governo che comincia a praticare una più equa distribuzione del reddito, ed almeno – per ora a parole e con piccoli segni concreti – a dire di voler togliere a chi ha sempre avuto e restituire qualcosa a chi sempre è stato tolto.
Non è poco, salvo che per la Camusso e per gli ostinati difensori dell’eterno “quieta non movere”, di cui anche a troppi silenzi sospetti. Difendere i diritti e gli interessi dei lavoratori è altra cosa che difendere il proprio potere e privilegi atavici. Anche per il sindacato. Intanto Grillo è alle porte anche per la Camusso.