Da ragazzo, su un mensile di divulgazione scientifica, lessi l’articolo di un biologo che fra l’altro si chiedeva: la bellezza delle piante e degli animali è legata soltanto a esigenze e strategie di sopravvivenza dei singoli e della specie, oppure in natura vi è un margine per una sorta di espressione estetica “disinteressata”? Più di recente mi sono occupato del filosofo cattolico francese Jean-Luc Marion, il quale prova a mostrare come talora il dono possa essere davvero gratuito, sottraendosi alla logica dello scambio (sia pur differito) e della stessa reciprocità.
Me ne sono ricordato grazie all’editoriale di Pasqua di Claudio Sardo su l’Unità. Siamo tanto invischiati nello schema del “do ut des” che ci riesce difficile concepire la gratuità del dono. Gli stessi rapporti umani paiono per lo più ridursi a transazioni, e quasi tutto ci sembra a suo modo strumentale. In tale maniera però restiamo per così dire ingabbiati: non riusciamo a trascendere noi stessi e qualsiasi prospettiva di cambiamento profondo – sociale o individuale – diviene utopica.
Forse è alla luce di ciò che andrebbe riletto lo slogan di qualche lustro fa dei socialisti francesi, sovente frainteso: “Sì all’economia di mercato, no alla società di mercato”. L’interrogativo suscitato, in fondo, è analogo a quello del biologo sulla bellezza: vi sono margini per relazioni interpersonali “disinteressate”, volte solo a esprimere l’umanità degli umani?