Attenzione al passaggio: dal sostantivo all’aggettivo e dal singolare al plurale. Perché segnala, come si dice oggi, un vero e proprio mutamento di paradigma nell’uso del termine.
Dalle origini fino quasi ai giorni nostri, l’indignazione era indistinta nei suoi contorni (il popolo) ma estremamente precisa nei suoi obbiettivi (il tiranno, l’affamatore, il corrotto; con nomi e cognomi al seguito). E, come un fenomeno naturale, esplodeva periodicamente, per un breve periodo e con effetti clamorosi; “travolto dall’indignazione popolare” è la proposizione che riassume efficacemente tutto questo. Poi, il fiume rientrava nel suo letto per tornare a rompere gli argini chi sa quando e chi sa dove; un evento sempre possibile e sempre temuto ma mai esattamente prevedibile e non riproducibile in laboratorio.
Con gli “indignati” entriamo invece in un mondo tutto diverso. A partire dal fatto che si tratta non più di un evento, rilevante se e in quanto si manifesta in modo spontaneo e dirompente, ma piuttosto di una condizione potenzialmente permanente. Tale da potersi configurare non proprio come professione ma quanto meno come categoria. Insomma come espressione formalmente etichettata e riconosciuta della cosiddetta “società civile”.
L’indignazione di una volta obbediva, come dire, alle leggi di tempo e di luogo; esplodeva improvvisamente in un certo posto, contro qualcuno o qualcosa, con l’obbiettivo di distruggere e scontando il rischio di essere distrutta. Gli indignati di oggi esibiscono il loro stato d’animo, come categoria ansiosa di riconoscimento; e contro un nemico indistinto, globale e permanente nel tempo. Un nemico la cui permanenza è, tutto sommato, strumentalmente necessaria; come condizione che giustifica la loro stessa esistenza e illimitata riproducibilità nelle più diverse aree del mondo.
Le esplosioni collettive del passato erano il frutto spontaneo di una situazione intollerabile e si bruciavano in uno scontro quasi sempre senza speranza di successo, contro nemici assolutamente spietati. Mentre gli indignati di oggi, trovano riconoscimento e annessa rendita di posizione in una contestazione assai comoda di un nemico oggettivamente e soggettivamente imbelle.
Come dovrebbe essere ovvio, non si tratta del capitalismo che giustamente li ignora. Ma piuttosto della politica e dei politici; tanto incapaci di autoriforma quanto imbelli nella difesa della dignità del loro ruolo.