“Il sonno del vulcano”. Cambiando l’ordine delle parole a volte il loro significato complessivo può cambiare. Nel nostro caso, partire dal vulcano richiama l’idea di una polveriera sempre pronta ad esplodere; mentre porre in primo piano il sonno fa pensare ad una situazione in qualche modo stabilizzata. Almeno nel tempo breve.
Ora, prima delle elezioni israeliane era legittimo temere una possibile eruzione. E’ vero: i palestinesi e ancor più i paesi arabi (per tacere dell’Occidente, paralizzato dall’incertezza sull’esito delle elezioni americane a dall’esausta impotenza europea) non erano affatto in condizione di porre all’ordine del giorno la partita del negoziato. Ma, per altro verso, il governo israeliano poteva, lui sì, riaccendere la crisi o con iniziative militari unilaterali (a Gaza e, soprattutto, in Iran) o con un ulteriore giro di vite nei territori o magari nei confronti della popolazione araba d’Israele.
Dopo, non più. Per il semplice fatto che non esiste più, alla Knesset, una maggioranza di centro-destra.
Era dal 1999 che ciò non accadeva. Allora, per la verità, il discrimine tra destra e sinistra era proprio la questione dei rapporti con palestinesi. Oggi, invece, il tema è stato del tutto marginale. E per due ragioni: l’accendersi di un contrasto radicale tra clericali e laici e, per altro verso, tra ultraliberisti e socialdemocratici, sulla natura stessa della società israeliana; e, per altro verso, il fatto che, per la prima volta da decenni a questa parte, i palestinesi non rappresentavano, per gli israeliani stessi, nè una minaccia da contrastare nè una promessa di pace da raccogliere.
Pure, i nuovi equilibri politici a Gerusalemme rappresentano la presa d’atto di una realtà; l’impossibilità ma anche l’inopportunità di azioni militari (ed è questa anche l’opinione dei responsabili della sicurezza) unilaterali; e, conseguentemente, la necessità di recuperare un rapporto di collaborazione con l’amministrazione americana (Netanyahu si era impegnato attivamente per Romney e si ritrova Obama…).
Non è la svolta verso la pace; non foss’altro perchè nè i palestinesi nè il mondo arabo sono oggi in grado di promuoverla o di garantirla. E’ però una nuova possibilità di operare in questa prospettiva.