Leggo sul libro L’idea di incompletezza, del filosofo Salvatore Veca: Avishai “Margalit ci ricorda che sia come individui, sia come collettività solo raramente raggiungiamo ciò che sta al primo posto nell’elenco delle nostre priorità. Le circostanze ci spingono ad accontentarci di molto meno, ad abbassare le nostre aspirazioni. Così facciamo dei compromessi. Secondo Margalit, noi dovremmo venire giudicati più per la capacità di fare compromessi che non per le norme interiorizzate o gli ideali che difendiamo, in quanto gli ideali riflettono che cosa o come vorremmo essere, ma i compromessi riflettono chi realmente siamo”.
Concordo. Dinanzi alle lamentele o al libro dei sogni dei pazienti, ad esempio, lo psicoterapeuta prova a basarsi su chi effettivamente ha dinanzi. Tanti compromessi sono funzionali, consentendo un migliore adattamento alla realtà. Alcuni, però, paiono al contrario disfunzionali e possono procurare alla persona dei sintomi. In tali casi il vissuto prevalente è quello del conflitto. Il compromesso non è riuscito nel suo intento e il paziente vive male se stesso, come lacerato fra certe sue istanze e l’esistenza che effettivamente conduce.
Tale conflitto fra il dato e l’istanza, fra l’aspirazione e l’esistente, al livello collettivo può forse contribuire a farci superare, per dirla con Veca, “le difficoltà nel pensare l’innovazione a partire dal riconoscimento della tradizione”. Quelle pieghe, quelle crepe di una cultura data nelle quali si insinua, come ci insegna Giulio Preti, l’opportunità di selezionare e operare scelte, modificando l’equilibrio complessivo, potrebbero esprimere anche il contrasto conflittuale fra certe istanze, già presenti, e la realtà risultante, inadeguata rispetto a esse.
Sia nel caso dei singoli, sia in quello delle comunità non si tratterebbe, dunque, di abolire i compromessi, bensì di raggiungerne di migliori.
Tale piccolo paradigma ci suggerisce qualcosa, ad esempio, anche nella lettura dell’esito del voto amministrativo. L’alto numero di astenuti indica per così dire istanze presenti ma inespresse. Il dato è quello dell’affermazione del centrosinistra. I conflitti che il Pd vivrà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi riguarderanno, in fondo, la propria capacità di interpretare istanze altre rispetto a quelle già affiorate. Non a caso molti politologi ripetono che il problema di fondo di quel partito è l’incapacità o la difficoltà ad ampliare la propria base elettorale. E qui si giocherà la sfida.