Quasi per caso mi sono trovato dinanzi alle poche righe, mai pubblicate, che avevo scritto nel novembre 2011 a mo’ di promemoria-resoconto di un seminario universitario promosso a Chieti, con la partecipazione della studiosa tedesca Annette Hilt. In anni di disorientamento come gli attuali, non è forse vano soffermarsi un istante sui “fondamentali” della convivenza umana; su quelle basi per lo più implicite – il rapporto fra pubblico e privato, il nesso fra il gioco, la libertà e la possibilità, fra la dimensione ludica della politica e quella del dominio e delle istituzioni sociali – del nostro vivere comunitario, caratterizzato da un’insanabile insicurezza. 
Impossibile condensare in poche righe i concetti esposti a Chieti, nell’ambito delle giornate di studio di antropologia filosofica, da Annette Hilt, in riferimento soprattutto ad autori complessi come Eugen Fink e Hannah Arendt.
Siamo avvezzi a distinguere nettamente pubblico e privato, e a vivere anzi come pericolosa la commistione fra i due ambiti. In Fink, invece, “il legame della fondazione politica di senso con il fondamento esistenziale della coesistenza deve anzitutto essere realizzato”. Non solo: si delinea “una compenetrazione spirituale dell’intero esserci umano, vale a dire della sfera privata così come di quella pubblico-sociale”. Il cosmo, per Fink, non ha un senso. Da qui l’importanza del gioco, definito da Hilt fenomeno fondamentale, “la cui costitutiva irrealtà mette a nudo il carattere di possibilità e libertà dell’esserci umano”. Gli essere umani, però, danno un senso al loro agire. Così al “gioco politico” si affianca il fenomeno fondamentale del “dominio”: per Fink la politica in tale maniera “è soprattutto il fissare i rapporti umani nella dimensione della potenza, e le istituzioni sociali sono rapporti di potenza fissati”.
Ma per Arendt “la potenza scaturisce dalla capacità umana, non solo di agire o di far qualcosa, bensì di associarsi con gli altri e di trattare in accordo con loro”. “Gli obiettivi e scopi ultimi delle nostre azioni”, nota Hilt, in tal modo “non ci sono stabiliti, poiché la vita umana in una comunità di molti è più insicura di tutti gli altri processi nella vita del mondo”. Lo “spazio di gioco dell’incontro” si situa sul terreno dell’interpersonale, tale da collegare coloro che sono diversi e tali resteranno.