Mentre l’Italia cerca disperatamente di uscire da una situazione di frattura multipla del suo corpo elettorale e del sistema politico, la finanza mondiale – quella delle grandi banche d’affari – ha aperto il fronte della spallata ai regimi politici democratici. L’obiettivo della finanza mondiale è di ridurre il peso della politica democratica nell’equazione creazione di valore/redistribuzione. In pratica, con la crisi innescata nel 2008, la finanza ha esautorato il potere dei governi (politica monetaria/Tesoro) che per sopravvivere hanno dovuto cercare l’aiuto dei banchieri centrali che, al di là di ogni logica economica, e spesso in contrasto con il Tesoro, hanno inondato il mercato di carta moneta. Le borse si sono trasformate in inutili apparati dove il valore dell’economia reale è stato svuotato, indipendentemente dai fondamentali, a favore di una serie di bolle speculative indotte dal controllo sui futures trattati nottetempo con i sistemi ad altissima frequenza. Le banche centrali non hanno potuto fare altro che abbassare i tassi di sconto, rendendoli nulli o negativi, così obbedendo al diktat delle banche d’affari. Mentre i governi si sono ritrovati con il debito pubblico che, senza una politica economica espansiva, è diventato debito reale esigibile attraverso garanzie reali, il flusso di investimenti si è quindi spostato su strumenti obbligazionari a rischio, perché più remunerativi (Italia, Grecia, Cipro, ecc…), e su valori non cartacei, l’oro e i metalli preziosi in genere ma anche sulle commodities (energetiche e alimentari). A questo punto la trappola era pronta per speculare sulla pelle degli ignari investitori intrappolati in strumenti di cui non controllano la quotazione. Chi ha potuto (Germania) ha cercato di riportare a casa il massimo di valore reale dagli investimenti obbligazionari sul debito sovrano, usando la foglia di fico dell’Euro, mentre le banche d’affari stanno sgonfiando il valore cartaceo (futures e altri strumenti) dei metalli preziosi e delle commodities creando delle enormi plusvalenze (la Germania se ne era accorta e aveva tentato di rimpatriare anche l’oro fisico). Mentre i signori della City e di Wall Street vanno a gonfie vele, leggiamo che Moody’s, come per incanto, declassa la Germania. Paradossalmente, l’Italia va bene tanto che lo spread scende nonostante l’impasse della politica e nonostante la crescita del debito sul Pil.
Molti indizi fanno pensare che si stia preparando uno tzunami di misure ben più violente di quello già avvenuto nel 2008.
È difficile dire esattamente cosa e quando accadrà. Intanto, sembra chiaro che il periodo giugno-ottobre 2013 sarà molto turbolento e propedeutico a quel che verrà, forse all’inizio del 2014. A giugno e ottobre ci sono due importanti riunioni del G20 nelle quali Obama ha già chiesto incontri separati con Putin. A settembre si svolgeranno le elezioni tedesche, e forse anche quelle italiane. Invece, a giugno 2014 si terranno le elezioni del Parlamento europeo e a settembre il referendum per l’indipendenza della Scozia. Sempre nel 2014 si rinnova la Commissione europea e il Presidente dell’UE (novembre). Infine, nel 2015 si dovrebbe tenere il referendum britannico che deciderà se il Regno Unito resterà nell’UE.
È in questo quadro che vanno lette le mosse della finanza mondiale, e in conseguenza quelle della politica. Poiché il tentativo di salvare la dominanza del sistema Occidentale attraverso la proposta urgente di Obama di creare una free trade area transatlantica sembra non essere sufficiente a consolidare il dollaro, anche in previsione della creazione di zone differenziate dell’eurozona, sembra che la finanza mondiale stia giocando d’anticipo. D’altra parte, se la politica non userà il vecchio metodo della guerra per ristabilire i rapporti di forza globali (e Obama è molto riluttante su questo punto), sarà la finanza che forzerà la mano dei governi destrutturando e ristrutturando intere aree del pianeta. L’Europa, per la sua ricchezza e accumulazione di capitali, oltre al fatto che finora ospita la principale piazza finanziaria del pianeta, la City, sarà necessariamente al centro delle dislocazioni politiche e geopolitiche a venire.