Lo aveva già scritto ai primi di febbraio Salvatore Merlo sul “Foglio”, ma adesso c’è il timbro di tre ministri, un presidente di Regione ed un numero imprecisato di enti di ricerca: nella “Terra dei fuochi”, su 1076 chilometri quadrati analizzati, ne sono risultati inquinati solo 20, nove dei quali (64 ettari) destinati ad uso agricolo. “Il Mattino” mette giustamente la notizia in prima, d’apertura.” La Repubblica” la mette a pagina 21, taglio basso.” Il Corriere della Sera” le dedica un titolo su due colonne addirittura fuorviante (“Un decreto del governo vieta la vendita dei cibi prodotti nella Terra dei fuochi”, laddove il decreto riguarda solo i suddetti 64 ettari).
Evidentemente il circo mediatico difende se stesso e la realtà virtuale che ha prodotto: in questo caso a partire da un fortunato libro di Roberto Saviano, dalle intimidazioni camorristiche di cui fu oggetto l’autore, da un suggestivo film di Matteo Garrone, fino alle “rivelazioni” di uno Schiavone pentito e all’attivismo di un curato di campagna. Una saga durata otto anni, fino a diventare un vero e proprio genere letterario.
Ora il quotidiano di Napoli dà conto della comprensibile soddisfazione degli agricoltori della zona, danneggiati non poco da queste seriali campagne di stampa. Ma il danno maggiore è un altro, e lo ha messo bene in rilievo Merlo. Il danno è che, mentre li cercavano sotto terra, i veleni abbondavano in superficie, in bella vista, come la lettera rubata del romanzo di Edgar Allan Poe: rifiuti a cielo aperto, copertoni dati alle fiamme, sistemi fognari approssimativi, il tutto in un contesto di degrado sociale in cui perfino il traffico di esseri umani (immigrati o prostitute che siano) è merce corrente.
Il fatto è che è più comodo alimentare un genere letterario che fare giornalismo investigativo. Lo si poteva intuire, sempre per restare nei dintorni, già quando si cantavano le gesta delle madri coraggio che bloccavano la discarica di Terzigno senza degnare di uno sguardo le condizioni di quella ridente cittadina, invivibili “a prescindere”, come avrebbe detto Totò.