Si fa un uso politico dell’esito delle elezioni europee, e prima ancora si è fatta una campagna elettorale in chiave di politica nazionale. Sono stati fatti paragoni impegnativi con esperienze e risultati elettorali della nostra storia politica. Vediamo quindi di soppesare la vittoria europea del 2014 rispetto a diversi termini di paragone.
Alle elezioni politiche per la Camera dei deputati del 7 giugno 1953 su 30.272.236 aventi diritto al voto, con una affluenza del 93,84% (votanti perciò 28.406.479), la Dc conseguì 10.862.073 voti, cioè il 40,10%. Alle elezioni europee 26/05/2014 (non considerando il voto degli italiani residenti nell’Ue), su 49.256.169 aventi diritto al voto, con una affluenza del 58,68% (votanti perciò 28.908.004), il Pd ha raggiunto 11.172.861 voti, cioè il 40,81 %. Il risultato in valore assoluto è analogo, la percentuale è analoga, ma evidentemente, per via dell’astensione dal voto, essi pesano assai diversamente. Mettendo infatti in rapporto i due risultati complessivi con i rispettivi aventi diritto al voto (del 1953 e del 2014), il risultato del Pd, per essere sostanzialmente e – ciò che più conta- politicamente analogo a quello della Dc, avrebbe dovuto essere di ben 17.673.755 voti. Tarando diversamente quelle mute percentuali (apparentemente identiche), cioè inserendo nel computo anche le astensioni dal voto, il Pd avrebbe così dovuto prendere 6.500.894 voti in più rispetto a quello che ha realmente raccolto. La Dc seppe prendere il 35,88% dei voti sui rispettivi aventi diritto; il Pd ha preso solo, sottolineo solo, il 22,68%. Analoghi impietosi risultati dà un confronto con il consenso raccolto dalla Dc nelle elezioni del 1948 e del 1958. Nel 1948, la Dc, sempre sugli aventi diritto al voto, prese il 43,75%; nel 1958, il 38,60%.

Un ancora più proficuo confronto può essere svolto con realtà sociali e soggetti politici assai più vicini al presente. Nel 1996 l’Ulivo, nei collegi uninominali, conseguì, sugli aventi diritto al voto, il 29,57%. Nel 2006, sempre l’Ulivo, e questa volta nelle liste proporzionali (escluso il collegio uninominale della Valle d’Aosta), conseguì, sugli aventi diritto al voto, il 25,28%. Nel 2014, finalmente il Pd, sempre nelle liste proporzionali (escluso il collegio uninominale della Valle d’Aosta), conseguì, sugli aventi diritto al voto, il 18,43%. Il Pd, nel 2014, ha conseguito sempre soltanto il 22,68%, che certamente è superiore al 18,43% del 2013, ma che è però inferiore sia al 25,28% del 2006, sia al 29,57% del 1996.

Quali sono gli spazi che si possono aprire nella comunità politica per la conquista del consenso elettorale lo dicono chiaramente le percentuali di partecipazione al voto delle ultime due elezioni messe in comparazione. Infatti, si è scesi dal 75,20% dei votanti per le politiche 2013, al 58,68% per le europee 2014 (né può dirsi che questa è una tendenza delle elezioni europee, perché quelle del 2009 videro la partecipazione del 66,47% degli aventi diritto). Almeno quindi su questo differenziale del 16,52% degli elettori che è rimasto a casa (tradotto sull’elettorato attivo del 2014 fa 8.137.119 di cittadini), potrebbe esercitarsi una azione di acquisizione del consenso che vuol dire prima di tutto azione culturale. Dovrebbe essere insieme e contemporaneamente: ascolto – osservazione – elaborazione di proposte politiche – verifica del consenso su di esse. La sfida che il socialismo potrebbe raccogliere è muoversi verso queste praterie “inesplorate”.