La poesia pensante di Flavio Ermini in Essere il nemico – Discorso sulla via estetica alla liberazione (Mimesis, pp. 53, € 6) prova a recuperare una dimensione che accomuna i mortali nella loro fragilità: l’immaginazione. E, mediante le citazioni, propone quasi un dialogo appassionato fra autori diversi, uniti dall’esigenza di ritrovare il carattere aperto e insaturo del nostro dire e del nostro fare.
“Le cose sono diverse se il mio atteggiamento verso di esse è diverso”: da qui l’eventualità di una via estetica – nella duplice accezione di “attinente ai sensi” e “attinente all’arte” – alla liberazione. In nome di un recupero del possibile. Come sentirsi liberi senza disporre di svariate possibilità, a motivo, oggi, di una sorta di pensiero unico tecno-economico? L’obiettivo non è la società perfetta. “La questione è: intrattenersi presso ciò che è noto, familiare, sperimentato, oppure prenderne congedo?”. “Scrivere sui bordi, ai margini del pensiero, sconvolgendone la trama, è già liberazione”. Sì, nel discorso di Ermini è decisiva l’esperienza del margine e, insieme, la consapevolezza del carattere conflittuale delle vicende umane. Ed egli, rivolgendosi direttamente al lettore, fra l’altro lo esorta così: “Va interrotto, ti dico, il rapporto che abitualmente intratteniamo con le cose e le parole, smobilitando tutte le stabilità e sacrificando ogni senso preesistente”. Un programma rivoluzionario, certo; che però incessantemente interroga chi si sente riformista. Aprire nuovi orizzonti significa infatti accogliere l’idea per la quale “l’essere umano è tale se diventa la propria opera, l’opera sempre da compiere di se stesso”, consentendo al lavoro di trasformarsi nel luogo in cui egli, “realizzandosi, incontra se stesso, le sue capacità, le sue ideazioni”.
Solo lasciando spazio a ciò che ancora non è stato pensato diviene possibile scegliere. E nella scelta si annida il futuro. Per dirla con Hölderlin “molto c’è da trovare, e di grande, e molto vi è oltre”. Ed Ermini si scaglia contro la parola-merce, che rischia di annullare “una parte consistente del nostro essere al mondo”. Egli si rivolge per lo più al singolo, ricordandogli però che “nel sottosuolo si fa soprattutto esperienza dell’altro che si cela nella nostra intimità”. Da qui, anche, l’appello alla solidarietà.