Il titolo stesso del libro di Sabina Baral e Alberto Corsani (Di’ al tuo prossimo che non è solo, Claudiana, pp. 130, € 11.90) ci induce a sostare almeno un po’ presso noi stessi e presso le cose, a modificare i ritmi consueti, a relazionarci in modo diverso dal solito. E nel testo ho trovato una definizione convincente di cosa possa oggi intendersi per “senso della vita”. Salute, lavoro, famiglia, amici, interessi ci paiono troppe volte come sfere fra loro slegate. Esse “si affastellano come negli scaffali di un centro commerciale, via una avanti con l’altra […] Manca la forza per individuare il punto nodale di un percorso”.
Ecco: il punto nodale, quello sul quale gravita l’onere della scelta. Una scelta di vita, si diceva non a caso un tempo. Ed è toccante il modo con cui gli autori, entrambi credenti (ed entrambi valdesi), si pongono dinanzi alla loro “grande narrazione”: la Bibbia. Cos’è la bellezza, ad esempio? C’è chi la vive “come pienezza e chi come mancanza”; forse è una promessa di felicità. di cui abbiamo bisogno come del pane. Ma forse, soprattutto, essa “è qualcosa che tace, che non si lascia dire, come il Dio dell’Antico Testamento”. Ed essere empatici comporta “un continuo stare a occhi aperti, vigili, pronti a farsi toccare”.
“Bisogna essere pronti a un evento di rottura”. Sempre attenti “a non abbandonare il proprio egocentrismo a favore dell’altrocentrismo, ambedue pericolose forme di idolatria”. E in ciò “può esserci d’aiuto la grande lezione dei profeti biblici la cui conoscenza e simpatia con Dio non è mai solo emozione irrefrenabile”, bensì “una lotta, un corpo a corpo all’ultimo sangue”. Per il credente i testi biblici, magari “dimenticati a memoria”, ogni giorno interrogano e sorprendono. E la lettura filologicamente più attenta non sostituisce quegli occhi di bambino “che cercano di vedere e magari ascoltano”.
Non a caso, poi, gli autori propongono la trascrizione di una loro conversazione con il noto psichiatra Eugenio Borgna. Il quale fra l’altro dice: “Se fossi nato sicuro di me, pieno di certezze, non avrei nutrito il bisogno di ascoltare gli altri per ritrovarmi […] La fragilità va difesa e non considerata come un handicap”. E ancora: “Vogliamo riconoscere che c’è uno spazio di autonomia e di libertà tra il lato spirituale e quello biologico?”. E che il senso di vuoto può essere colmato da contenuti creativi, che aiutano a ritrovare se stessi, magari in maniera meno superficiale. Donare senso alla vita significa pure invocare, “cercare un interlocutore, reale o trascendente, e mettersi a nudo di fronte a lui”. “Non è semplice: è un esercizio, una libertà che si conquista giorno per giorno”. Ѐ, anche, una sorta di auto-osservazione.