Decenni fa Giancarlo Pajetta così rispondeva a chi denunciava la presenza di un ex fascista nel comitato centrale del Pci: “Chi fa parte del comitato centrale del Pci cessa di essere stato fascista”. In questa risposta c’è qualcosa che alle nostre orecchie ultrasensibili appare sgradevole. Chi scrive ricorda, a questo riguardo, una manifestazione pacifista (nello specifico, contro gli euromissili) cui partecipò nei primissimi anni ottanta. Sfilavo, con un gruppetto di nostri compagni, per via del Tritone, e sentivo gridare intorno a me “siamo tanti, siamo qui, siamo noi il vero Psi”. Asserzioni in parte vere (che fossimo lì era indiscutibile), in parte clamorosamente esagerate (eravamo sì e no una diecina di persone), in parte assolutamente abusive (un vero e proprio falso ideologico): perché a inneggiare a noi come autentici rappresentanti del Psi erano i comunisti intorno a noi, e senza neanche usare, cautelativamente, la seconda anziché la prima voce del plurale. A dimostrazione, appunto, del fatto che la strumentalizzazione dell’Altro in funzione degli interessi del Partito, giudice supremo del Bene e del Male, era diventata oramai una vera e propria “forma mentis”. Per la quale tutti potevano diventare Buoni, a prescindere dai loro corsi/trascorsi passati. C’era il partito aperto, la tenda accogliente in cui a chiunque era dato entrare, in base alla sua capacità e al contributo autonomo che era in grado di offrire, senza esami del sangue e, per così dire, “libero dal peccato”.
Oggi, invece, cresce la claustrofilia: latente e gestita a piccole dosi nella sinistra di governo, incontrollata e distruttiva nelle forze di opposizione, dal Movimento cinque stelle alla sinistra radicale. Come ampiamente dimostrato dai ricorrenti conati espulsivi all’interno della prima e dalle tragicomiche vicende che hanno accompagnato la formazione della lista Tsipras.
Per interpretare le faide grilline si sono scomodati Stalin, la Spectre, il Dissenso, la Dittatura e la Repressione. La realtà è molto meno drammatica, perché assai più misera. Pensate a un grande condominio, rigorosamente impermeabile dall’esterno, i cui componenti passano il loro tempo a discutere continuamente tra loro e su di loro. Senza respiro e senza privacy. Nella vita reale saremmo all’omicidio del ragioniere del terzo piano; nell’universo 5 Stelle alle reciproche insopportazioni in un contesto in cui l’eliminazione dei condomini è affidata non già, come nel Grande fratello, al referendum popolare, ma alle pulsioni di poche migliaia di persone; oltre che agli umori ondeggianti del Capo.
Non è un incidente di percorso. Piuttosto la manifestazione di una nemesi. Perché chi intende costruire un’alternativa di sistema non già su di un progetto politico ma sulla radicale diversità nei comportamenti tra eletti (la comunità dei fedeli) e reprobi (il mondo esterno) o riesce a cambiare il mondo che lo circonda o è condannato a sempre nuovi esercizi di purificazione per evitare di esserne contaminato.
Nel caso della lista Tsipras il claustrofilismo che ne ha accompagnato la formazione è invece espressione suprema, e speriamo ultima, della mentalità giustizialista. Al suo centro il sospetto pregiudiziale nei confronti della politica e dei politici come “sterco del demonio”. In quest’ottica meglio essere politicamente vergini, perché ogni tipo di passato ti espone. Meglio non essere caratterizzati politicamente, perché la presenza di voci diverse non è una ricchezza ma un rischio. Meglio non appartenere a un partito: perché i partiti sono sempre colpevoli di qualcosa, e vige nei confronti dei loro aderenti quella presunzione collettiva di colpa che non è stata applicata nemmeno ai tedeschi all’indomani della seconda guerra mondiale. Meglio non avere conoscenze e frequentazioni pubbliche, perché queste contaminano. E infine meglio candidarsi che aspirare ad essere eletto, perché questa potrebbe essere considerata un’ambizione personale sconveniente.
Anche qui, in definitiva, meglio fallire che essere contaminati. Un’ulteriore dimostrazione della pulsione alla paralisi che percorre la società italiana. Se questa dovesse essere l’unica risposta all’attivismo magari anche sconsiderato di Renzi, siamo messi davvero male.