A novantadue anni è morto Pietro Lezzi. Dopo essere stato più volte deputato al Parlamento italiano ed al Parlamento europeo fu sindaco di Napoli dal 1987 al 1990. “Sono solo un socialista”, rispondeva, quando lo chiamavano “il sindaco galantuomo”.

Pietro Lezzi è morto. Il cordoglio è stato unanime come gli attestati di stima per la sua rettitudine, la sua onestà, la sua coerenza, la sua fede socialista. Non era personaggio da aneddoti (che non sono mancati, peraltro). Fu dirigente importante del Psi dell’era Nenni – De Martino, responsabile del Dipartimento Esteri del Partito. E qui sviluppò la sua azione più qualificata, tessendo importanti rapporti soprattutto con i Paesi del Nord dell’Africa (da cui una sensibilità particolare per i problemi del Mediterraneo). Fu deputato europeo della prima ora, nominato dal Parlamento Italiano, e poi eletto a suffragio universale nel 1979.
Ma qui lo voglio ricordare – da testimone attivo, seppure alle prime armi – quale dirigente politico che ha segnato la storia della federazione napoletana del Psi. Una generazione, la mia, si è forgiata nel “duello” Lezzi-Caldoro, di cui al mitico Congresso straordinario del 1966 – un secolo fa, lo so –  che vide vincitore Lezzi – all’ombra di Francesco De Martino – ma che consentì a Tonino Caldoro di lanciarsi in autonomia, sostenuto da compagni di belle e forti speranze, verso una strada di altrettanto successo. Una stagione lunga quella, segnata dalla forte dialettica interna che temprò una bella generazione capace di fare tesoro anche degli errori di una contrapposizione per cogliere appieno il vento del rinnovamento e del rilancio socialista, che venne dallo splendido Congresso di Torino segnato dalla “diarchia” Craxi – Signorile.
La contrapposizione politica non fece mai velo ad una qualità umana nei rapporti personali che ha portato Tonino Caldoro, e lo dico a mò di esempio davvero luminoso, a chiedere a Guido De Martino di scrivere la prefazione al suo recente libro di memorie. Il tempo, la tragedia che ha distrutto il  Psi, la bella qualità degli uomini del nostro Partito hanno consentito di “armonizzare” le vecchie anime e le antiche rivalità, a volte colorite e fiammeggianti in alcune, memorabili espressioni di Pietro Lezzi, sempre generoso anche nel linguaggio. Rimangono nella mente di tanti socialisti antichi le riunioni del comitato  direttivo della Federazione, palestra per discorsi e ragionamenti anche interminabili, ma sempre con un fondamento politico: quando parlavano Pietro Lezzi o Tonino Caldoro cessava il chiacchiericcio e tutti eravamo lì, ad ascoltare e ad imparare. C’erano i partiti, c’era il Psi, e soprattutto c’era la politica.
Suggerii a Cesare Mattera, socialista antico e sindaco di Serrara Fontana, di insignire, insieme, Lezzi e Caldoro della cittadinanza onoraria del suo Comune. Fu una giornata indimenticabile, ingentilita da Lina Sastri, anche lei nominata cittadina onoraria di quel Comune. Indimenticabile e tenera: Caldoro e Lezzi, a cena (c’erano anche Stefano Caldoro e Nadia, la dolcissima moglie di Pietro)  si dissero le cose che non si erano dette per quarant’anni, “prigionieri” ciascuno del proprio ruolo che alimentava il nostro impegno combattivo (ed anche il loro successo). Ma con Pietro Lezzi “dopo”, a dimostrazione che la vivace dialettica interna non lasciava tracce nei combattenti leali, si era creato un feeling, cementato dalla sua presenza costante al Teatro Mediterraneo della Mostra d’Oltremare ai concerti dell’Orchestra de I Solisti di Napoli, di cui ero Presidente, ed alla stagione lirica nelle “sue”, davvero sue, Ville Vesuviane, del cui recupero fu artefice indiscusso, nella sua qualità di Presidente di quell’Ente e di proponente dell’apposita legge istitutiva. Mi auguro che proprio nelle Ville Vesuviane sia ricordato adeguatamente, magari con un busto che rappresenti il suo sguardo fiero e la sua chioma orgogliosa.
La sua presenza era assidua, e vivace, a tutte le iniziative che abbiamo organizzato nella sede della Fondazione intestata a Maurizio Valenzi, suo amico antico, al Maschio Angioino. Veniva per primo, sempre con mezzi pubblici, ma ad una certa ora inderogabilmente andava via, non senza aver espresso il suo contributo appassionato. Di accordo con Lucia Valenzi, Presidente della Fondazione, con apposita iniziativa approfondiremo aspetti importanti della sua azione politica sul piano nazionale e su quello internazionale. Certo, da sindaco di Napoli, pur in momenti difficili, era diventato più popolare, e tanta gente aveva avuto modo di apprezzarlo e di conoscerne più da vicino l’umanità e l’identità di socialista. Tanto più che la bufera di Tangentopoli, pur ingiusta per molti, mai neppure lo sfiorò, anche se egli, comunque, da dirigente importante ben conosceva i “meccanismi” del finanziamento della politica, che peraltro, al netto dei disonesti, erano ben lontani dal determinare arricchimento personale.
Pietro Lezzi se n’è andato, e con lui se ne va una parte di noi stessi e del nostro modo di fare politica e di vivere nel partito. Era contento che, in qualche modo, avessi preso il “suo” testimone nel Parlamento europeo. Mi resta l’ultima fotografia insieme a lui: volle fortemente, in occasione di un convegno al Suor Orsola Benincasa, che noi due facessimo una fotografia insieme ad una prestigiosa “collega” sua e mia, Simone Veil.
Ciao, Pietro: la sciarpa di prezioso cashmere – poco socialista? – che volesti regalarmi riscalderà il mio ricordo di te e della tua amicizia, di cui andrò sempre fiero. Grazie!