«Non sta scritto da nessuna parte che le commissioni non si possono costituire prima della formazione della maggioranza e dell’opposizione. Se i Costituenti non l’hanno specificato un motivo ci sarà stato» (Crimi). I fascisti hanno ragione. Non esiste alcuna norma – di carattere costituzionale o regolamentare – che obblighi a costituire le commissioni solo dopo la formazione del governo. Il problema è d’altra natura. Gli equilibri costituzionali non hanno nulla a che vedere con le norme giuridiche, ma con una determinata organizzazione dei rapporti politici ad esse sottese. Ed è in questa separazione che i fascisti difendono il Parlamento. Difendono, cioè, una certa lettura delle funzioni dell’Assemblea che consenta loro due operazioni essenziali: 1. costringere le Camere a deliberare, nei mesi che precederanno le prossime elezioni, su una serie di proposte di legge a carattere antisistemico (legge sui finanziamenti ai partiti, taglio dei costi della politica, corruzione, etc.); 2. separare il Parlamento inteso come Legislatore – come titolare del potere legislativo – dal Parlamento inteso come organo della rappresentanza politica.
Quest’ultima è la separazione che, per i fascisti, è fondamentale. L’idea di difendere il funzionamento del Parlamento contro i partiti (contro, cioè, la definizione di una serie di rapporti politici che soltanto con la formazione del governo possono stabilizzarsi) implica, in altri termini, la riduzione del potere parlamentare a mero potere legislativo. Se, tuttavia, il Parlamento è il titolare – unitamente al governo – del potere legislativo, l’Assemblea è, anzitutto e preliminarmente, ciò che esprime il divenire-legittimo del potere attraverso la rappresentanza. È in quanto esprime un certo tipo di autorità politica che l’Assemblea ha anche una funzione tecnica («fare le leggi»).

La tattica assembleare dei fascisti è allora quella di servirsi della funzione tecnica del Parlamento contro la sua funzione politica (contro l’essere il potere parlamentare espressione della legittimazione della democrazia rappresentativa e dei partiti politici).
È questa distinzione che spiega il senso dell’attuale posizione dei fascisti: far funzionare le commissioni permanenti per eliminare il sistema politico; far funzionare il potere legislativo attraverso il Parlamento per determinare la fine della rappresentanza come forma della legittimità. Così, di recente, Grillo: «Siamo un movimento che si è inserito in parlamento con le elezioni, quindi noi riempiamo un vuoto con la democrazia».Chi, dunque, «svuota» il Parlamento? I partiti che ne «bloccano» il funzionamento o i fascisti che chiedono di farlo divenire operativo? Non lo si potrà capire dalle risposte – ossia dalle posizioni assunte sul punto dalle forze politiche – ma soltanto dal sistema di domande che controllano le differenti posizioni. Occorre cioè articolare la domanda che viene dai fascisti per capire come essa tradisca, in realtà, proprio l’esatto contrario di ciò che apparentemente chiede.
I partiti politici non riescono ad opporsi efficacemente alla questione delle commissioni permanenti in quanto i fascisti hanno, con esse, individuato l’anello debole del rapporto tra sistema parlamentare e partito politico. La «crisi» della relazione tra funzione politica dell’Assemblea e soggetto costituzionale partito, infatti, si è espressa, nel corso degli ultimi dieci anni, proprio nel funzionamento delle commissioni e dei gruppi parlamentari.
Il senso politico dei gruppi – come aveva notato criticamente Lucifredi – è «basato sui ruoli contrapposti tra maggioranza e opposizione, con le loro funzioni tradizionali: all’una spetta governare, all’altra  compete la critica costruttiva, anche incisiva, al fine di preparare il terreno al realizzarsi dell’alternativa di potere. Queste posizioni, di maggioranza e di opposizione, sono nette e contrapposte, quanto meno tra un voto di fiducia e l’altro; perché, ovviamente, un capovolgimento di posizioni nel rapporto tra i vari gruppi politici può benissimo far sì che questi rapporti si spostino, e maggioranza e opposizione assumano diverso colorito. È vero, però tra un voto di fiducia e l’altro le due posizioni ci sono, e devono essere chiare».
Per questa ragione le commissioni avrebbero dovuto essere espressione – anche tra un governo e l’altro – della separazione tra maggioranza ed opposizione. Il rapporto maggioranza / opposizione è un rapporto politico, e non semplicemente tecnico o “numerico”. Esso presuppone, pertanto, una conversione del dato numerico in concetto politico. Conversione che nel nostro sistema è stata resa possibile soltanto da un determinato soggetto: il partito politico. Sono soltanto i rapporti di forza tra partiti, infatti, a far sì che maggioranza e opposizione possano significare in senso non tecnico, ma politico.
La disciplina dei gruppi parlamentari è stata in questo senso «l’ingranaggio che congiunge ciò che attualmente sta (quasi interamente) fuori dal diritto costituzionale, cioè la disciplina dei partiti, con ciò che sta interamente dentro ad esso, cioè il ruolo e le prerogative del parlamentare, da un lato, e l’organizzazione ed il funzionamento delle Camere, dall’altro» (R. Bin, La disciplina dei gruppi parlamentari).
La crisi di legittimità dei partiti, tuttavia, si è riflessa negli ultimi anni proprio su questo meccanismo essenziale (anche attraverso i fenomeni di «mobilità parlamentare»). Come è stato osservato, infatti, «la stretta corrispondenza tra queste strutture e un sistema partitico cristallizzato» ha ceduto, e questi cedimenti hanno fatto sì che proprio «i gruppi parlamentari rappresentano uno dei luoghi dove maggiormente si evidenziano le trasformazioni degli attori politici rilevanti (partiti, fazioni, leadership) e le modalità di interazione tra di essi» (L. Verzichelli, I gruppi parlamentari dopo il 1994. Fluidità e riaggregazioni).
Per quanto qui interessa, le sfasature prodottesi hanno determinato, oggi, la possibilità per i fascisti di insistere su questo anello debole. Ciò permette oggi ai fascisti di separare le due esigenze originariamente complementari dei gruppi:  quella «organizzativa delle Camere di dotarsi di strutture che rendano più agevole e razionale lo svolgimento dell’attività parlamentare» e «quella politica in base a cui tali strutture devono essere espressione non del caso (come gli Uffici in epoca statutaria) ma dei partiti politici presentatisi dinanzi al corpo elettorale e che loro tramite agiscono sul piano istituzionale» (S. Curreri, Rappresentanza politica e mobilità parlamentare). È in questa debolezza che i partiti si trovano «bloccati». E, per un effetto ottico, sembra che siano allora i partiti a «bloccare» il funzionamento del Parlamento.