Il suicidio di un ragazzo romano di quattordici anni induce la presidente della Camera a chiedere di “votare subito la legge sull’omofobia”. A chi lo chieda non si sa, visto che è lei a fissare i calendari (anche a prescindere da quanto concordato in conferenza dei capigruppo, come ha fatto per incardinare il decreto legge sul “femminicidio”). Ma soprattutto non si sa perché lo chieda. Non è la prima, del resto. Negli anni passati è capitato anche a parlamentari meno attivisti e inesperti di lei di chiedere, per esempio dopo la notizia di uno stupro, la convocazione della Camera a Ferragosto per discutere la legge sulla violenza sessuale. Riflessi condizionati del presenzialismo, si dirà. Ma anche riflessi di una cultura che si fa strada specialmente attraverso i canali mediatici meno riflessivi.
Intendiamoci: le “leggi manifesto”, quelle cioè che sono soltanto inutili, ci sono sempre state. Qualcuna (per esempio la legge Mancino) forse l’ho votata anch’io, che l’anno venturo celebrerò il ventennale della mia assenza dalle aule parlamentari. Ma accanto ad esse ci sono le leggi ad hoc, che invece, sono anche pericolose, soprattutto nei sistemi in cui vige il diritto positivo. Aprono il varco a teoremi giudiziari. Esemplare la discussione di qualche settimana fa sul “voto di scambio”, aperta da Saviano per cucire un reato su misura per Cosentino (così come negli anni ‘50 era stata concepita su misura per Achille Lauro la versione precedente). Della stessa categoria è la legge Severino di cui si discute in questi giorni (come la penso lo ho scritto commentando un post di Ceccanti sul nostro sito).
La verità è che nel codice penale c’è già tutto: la corruzione, la concussione, l’interdizione dai pubblici uffici, la violenza privata, le lesioni gravi, il sequestro di persona, la diffamazione, e via delinquendo. E che è sconcertante che – mentre si legifera ad hoc – della commissione nominata a suo tempo per la revisione del codice (la presiedeva Nordio, se ricordo bene) si siano perse le tracce.