Riordinando gli scaffali, trovo un libro di Leo Solari pubblicato nel settembre 1975: La rivoluzione obbligata. Prefazione di Pietro Nenni, introduzione di Giuseppe Tamburrano. Tema: il nesso fra politica, economia e squilibrio ambientale. A riprova del fatto che pensare a un diverso “modello di sviluppo” può essere roba da riformisti. Scrisse Nenni: “La concezione statocentrica che tuttora domina la scena politica mondiale appare infatti incompatibile con la dimensione internazionale che deve avere lo sforzo da compiere per arrestare i processi di degradazione della vita terrestre”. Tamburrano aggiunge che se “uno dei problemi centrali del paese è oggi quello di disporre di un sistema imprenditoriale capace di accrescere la ricchezza nazionale a tassi elevati […] la questione non può essere ridotta in questi angusti termini. Sviluppo non deve significare necessariamente polluzione massiccia e indiscriminata”. Una vera sfida per la crescita ragionevole.
Per Solari, che riesce a toccare con acume ogni aspetto del tema, “per un insieme di ragioni psicologiche, sociali, economiche, ambientali, verrà, insomma, ad accumularsi materiale infiammabilissimo nelle relazioni tra i popoli e all’interno dei singoli Stati. In un contesto del genere gli ideali di libertà potranno risultare anacronistici. […] Può darsi, insomma, che molto tempo ancora separi l’uomo, come sostengono gli ottimisti, dai ‘limiti’ concernenti la disponibilità di risorse fisiche e i fenomeni di polluzione. Si è già vicini, però, per l’accumularsi di fenomeni di tensione, ai limiti oltre i quali, se non interverranno sostanziali modificazioni negli indirizzi della società, la democrazia non potrà più proporsi come alternativa e la sopraffazione violenta diverrà una via obbligata”.
Argomenti che non riguardano, quindi, solo formazioni settarie e guru, e trascendono le solite diatribe fra “apocalittici” e “integrati”. Essi rappresentano anzi un enigma, nel senso che interrogano ciascuno/a di noi. Non a caso Solari conclude così: “Non possiamo certo nasconderci le notevoli difficoltà di un discorso di questo genere, suscettibile di risultare ancor più complesso ove porti ad affacciarsi sul problema più vasto dei rapporti tra natura e uomo, riconducibile a quello dei rapporti tra ‘naturalità’ e cultura e, in definitiva, al problema di storia e negazione della storia e che può investire altre complesse questioni: dagli aspetti metodologici riguardanti gli strumenti concettuali da utilizzare al problema epistemologico della cultura, dell’arte, della stessa scienza”.

 

Danilo Di Matteo