Riccardo Nencini intervistato da Giada Fazzalari

Alla fine di novembre si è svolto a Venezia il congresso nazionale del Psi, ai cui lavori hanno partecipato fra gli altri Enrico Letta, Guglielmo Epifani, Nichi Vendola, Luigi Angeletti, Susanna Camusso, Adele Gambaro, Beppino Englaro, Titti Parenti. Il congresso ha rieletto alla segreteria Riccardo Nencini, che nell’intervista che segue interviene anche sull’attualità politica. A seguire il testo integrale della sua relazione al congresso.

Qual è il risultato più significativo del congresso nazionale del Psi?

Al Congresso abbiamo raggiunto di fatto l’unità del partito. Questo ci consente di operare un forte rinnovamento dei gruppi dirigenti a tutti i livelli, non solo nazionale. C’è la coesione sufficiente per affrontare il nuovo ciclo politico che si sta aprendo. Il congresso ha avuto il riconoscimento dei più alti rappresentanti delle istituzioni, dal Quirinale al governo alle due Camere. E non è stato un riconoscimento postumo a una bella storia, ma la valorizzazione del nostro ruolo, di ciò che possiamo fare e rappresentare in futuro.

Il futuro sembra segnato dall’astro nascente di Matteo Renzi. Ma davvero il sindaco di Firenze può rappresentare l’indispensabile elemento di discontinuità nella vicenda del Pd?

Sì, Renzi la differenza la può fare, se non altro in termini generazionali e di provenienza politica. Ma la può fare davvero solo se interpreta in maniera eretica nuove soluzioni ai nuovi problemi delle società contemporanea.
Per le primarie sono andati a votare poco meno di tre milioni di elettori. Il Pd è bravissimo a vincere le primarie, a galvanizzare una parte del suo elettorato: poi però alle elezioni è un’altra, cosa come insegnano le lezioni del passato. Renzi ha ottenuto la segreteria, ma adesso deve dimostrare cosa sa fare.
I nodi che deve sciogliere sono quelli che abbiano definito al Congresso di Venezia: la povertà di ritorno, il rapporto tra migranti e sicurezza, e come si finanzia lo Stato sociale con la crisi economica che costringe a tagliare la spesa pubblica: Hic Rhodus, hic salta.

Ma anche Renzi, come Veltroni, pensa a un Pd autosufficiente?

Renzi è decisamente più realista del suo predecessore alla segreteria del Pd. Non credo che ripeterà lo stesso errore che fece Veltroni. Certo poi tutto dipende anche dalla legge elettorale, perché Veltroni pensava di utilizzare a suo vantaggio il Porcellum, che assegnava il premio di maggioranza senza soglia non solo alla coalizione più forte, ma pure al primo arrivato. Se andiamo a rileggere la storia recente, dal 1994 fino ai giorni nostri, vediamo che molto dipende da come funziona il sistema politico, cioè dalla alleanze che si riescono a mettere in campo. In questi due decenni abbiamo avuto due leggi elettorali molto diverse, ma chi ha vinto con entrambe le leggi lo ha potuto fare in virtù del sistema di alleanze che ha saputo costruire.
Abbiamo tutti detto che la legge Calderoli era da cambiare, ma fino a oggi nessuno ha saputo neppure immaginare una maggioranza parlamentare decente per farlo. Giustamente Renzi la mette al primo punto, anche perché vuole andare a votare e pensa di poter prendere il posto di Letta. Ma con quale maggioranza pensa di riuscirci? Con Berlusconi e Grillo?
La legge elettorale è un pilastro portante nell’edificio politico-istituzionale di qualunque democrazia parlamentare, e perché possa funzionare al meglio deve essere scritta con maggioranze le più larghe possibili. Stiamo parlando delle regole di base che riguardano tutte le forze politiche, sia di maggioranza che di minoranza. La sensazione è che né Berlusconi né Grillo abbiano voglia di mettere mano sul serio ad una destrutturazione del Porcellum, e quindi ci dobbiamo acconciare a modificare la legge con una maggioranza più ristretta di quella che sarebbe auspicabile.

Si deve partire dall’assemblea di Montecitorio o di Palazzo Madama?

La riforma della legge elettorale è stata incardinata al Senato e lì deve restare: anche perché ha poco senso varare una riforma alla Camera con una certa maggioranza che poi può non esserci al Senato, dove il Pd non ha i numeri per imporre la sua linea. Il fatto è che fino a ieri il problema era anche nello stesso Pd, dove le proposte di modifica erano più di una. Renzi. Può aiutare a chiarire la posizione del suo partito. I tempi non possono essere quelli fulminei di cui lui ci parla. Quanto alle riforme istituzionali, visto che Renzi parla di abolizione del bicameralismo, il governo di larghe intese avrebbe consentito di superare l’ostacolo dell’art. 138, garantendo maggioranze molto larghe nelle due Camere: ma le larghe intese non ci sono più, e al Senato la maggioranza si regge su sette voti di scarto. Comunque si voglia procedere, non si possono tagliare i tempi che prevede la Carta costituzionale, e dunque mi pare difficile riuscirci in meno di un anno e mezzo.

Dunque?

Dunque meglio un’Assemblea costituente. È la nostra proposta da tempo. La Costituente avrebbe anche il vantaggio di separare il destino del governo da quello delle riforme istituzionali, e perciò anche della riforma elettorale. La si potrebbe eleggere entro pochi mesi e i tempi non sarebbero più lunghi di quelli del Parlamento: col vantaggio di sminare il terreno e di fare delle riforme con una base di consenso più fedele alla realtà del corpo elettorale, visto che queste Camere sono state elette col premio di maggioranza cassato dalla Corte costituzionale.

E sul piano dell’iniziativa di governo?

I socialisti propongono alle altre forze politiche un terreno su cui confrontarsi, e i temi sono quelli del Congresso di Venezia, a iniziare dal rapporto tra immigrati e sicurezza. Va bene proporre lo jus soli, ma limitandolo ai figli dei genitori che sono residenti in Italia da almeno 5 anni; altrimenti questo paese diventa il Bengodi dell’apparenza. Secondo, la questione delle libertà individuali degli immigrati che sono in Italia e sono in regola con le leggi. Lo Stato dovrebbe intervenire decisamente, e anche pesantemente, per regolare i diritti di appartenenza che non possono confliggere con quelli individuali e di libertà. Mi spiego: se sono un cittadino somalo residente in Italia non posso pretendere di fare infibulare mia figlia. Così, se sono pakistano, non posso organizzare il matrimonio di mia figlia dodicenne con un concittadino che lei non ha neppure mai visto e che ha trent’anni di più. Si tratta “diritti di appartenenza” su cui la sinistra italiana ha avuto sovente un atteggiamento ambiguo, permissivo, confondendoli col multiculturalismo e barattandoli con i diritti individuali, che invece devono sempre venire prima.

Un altro punto è la questione dell’amnistia.

Abbiamo un problema urgente da risolvere, perché lo stato delle nostre carceri in alcuni casi è letteralmente vergognoso. Diciamo dunque sì all’amnistia, ma a certe condizioni. Dobbiamo legare la scarcerazione al soddisfacimento di un dovere civico, a un impegno di lavoro per il bene comune. A certe condizioni si può trasformare la pena detentiva in lavoro al servizio della collettività.

Ma la questione principale è quella dell’Europa.

Quella che a noi interessa è l’Europa politica. La moneta da sola non ci ha fatto fare passi avanti sulla costruzione dell’Europa federale e se ci mettiamo anche il fallimento della Carta costituzionale europea, il guaio è completo. Oggi ci troviamo con un’Europa germanocentrica, con una grosse koalition che ha bocciato gli eurobond. Questo non va bene e l’Italia non può permetterselo, anche perché siamo alla vigilia dell’entrata in vigore della clausola del Fiscal compact che obbliga tutti i paesi con un debito superiore al 60% del Pil a rientrare entro quella soglia entro venti anni, a una velocità di un ventesimo l’anno: cioè a tagli da 30, 40 miliardi di euro l’anno. I conti devono stare a posto, ma non distruggendo i paesi membri.

Infine, quale prospettiva vedi per il governo?

Bisogna osare di più. Urge una marcata discontinuità con il programma del governo nato nella primavera scorsa. Discontinuità nel programma, discontinuità nella compagine di governo . La rottura della coesione sociale dovuta alla crisi del ceto medio ed alla perdita di funzione delle istituzioni nazionali e la crescita delle povertà inducono a scelte nette. La prima decisione da prendere riguarda la redistribuzione della ricchezza in modo da trarre dal bisogno quelle famiglie che hanno perso la possibilità di vivere con decoro. La strada maestra consiste nell’abbattimento della pressione fiscale per i nuclei familiari a reddito medio basso e nell’aumento delle pensioni minime. Provvedimenti che si possono assumere prevedendo una patrimoniale una tantum sulle grandi ricchezze diretta a quel 10% delle famiglie italiane che possiede il 50% della ricchezza nazionale. Una ulteriore misura va intrapresa guardando ad una maggiore tassazione del gioco d’azzardo, il cui giro d’affari si aggira attorno ai 90 miliardi di euro. Redistribuzione della ricchezza e valorizzazione delle istituzioni democratiche rappresentano il confine tra sinistra riformista e destra populista. Se il governo non si impegna con fermezza nella difesa di questi due valori perde la sua capacità di rappresentare l’Italia civile.
Una maggioranza numericamente più piccola ma decisamente più coesa può far fronte a questa emergenza soltanto se osa di più. A cominciare da pane e lavoro per finire alla riforma della legge elettorale. Quest’ultima è la cornice all’interno della quale si gioca la partita della democrazia. E’ il motivo centrale per cui le leggi elettorali dovrebbero essere condivise da una maggioranza la più larga possibile. Se così non fosse, non viene meno la necessità di decidere, guardando e a un assetto di tipo bipolare e alla garanzia della stabilità.

La relazione

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