Nel n. 2/2013 della Rivista italiana degli economisti Claudio Gnesutta commenta il Sarkozy Report, ovvero il rapporto che il Presidente francese ha commissionato nel 2008 ad una Commissione costituita da Joseph E. Stigler, Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi. La Commissione, avvalendosi di un robusto gruppo di economisti e di statistici, era incaricata di elaborare un “Indicatore” alternativo a quello usualmente adottato per calcolare il Pil, per misurare la performance ed il progresso sociale dei sistemi economici.
La Commissione ha riaffermato, se mai ve ne fosse stato bisogno, che le informazioni che possono essere desunte dall’aggregato quantitativo espresso dal Pil è largamente insufficiente ad esprimere il livello del “benessere sociale” desiderato, operando nella prospettiva che le modalità di funzionamento dei moderni sistemi economici implicano la necessità che per formulare fondate valutazioni sullo stato del sistema sociale sia giunto il tempo in cui occorre distinguere la crescita dal progresso sociale: in quanto la crescita ha un contenuto esclusivamente quantitativo, mentre il progresso sociale ne ha uno prevalentemente qualitativo.
L’accoglimento della distinzione consente di formulare in termini più appropriati le politiche pubbliche, considerando che se è vero che è possibile misurare ciò che si fa, è altrettanto vero che, se le misurazioni sono largamente insufficienti, le decisioni politiche sono distorte quando non tengono conto dei molti aspetti della vita che il Pil manca di cogliere.
L’alternativa è l’elaborazione di un “Indicatore del benessere sostenibile” che tenga conto sia degli aspetti quantitativi (oggettivi) dell’attività economica, sia degli aspetti qualitativi (soggettivi) concernenti l’impatto degli aspetti quantitativi sulle condizioni esistenziali dei componenti il sistema sociale. A tal fine la Commissione ha formulato un indicatore del benessere sostenibile fondato su un largo numero di “fattori”, tali da riuscire ad esprimere una vita degna d’essere vissuta, con l’inclusione tra di essi di un insieme di fattori estranei al mercato e ad ogni forma di misurazione monetaria.
I fattori individuati comprendono le condizioni materiali (reddito, consumo e ricchezza), lo stato di salute,i livelli formativi, le opportunità occupazionali, l’impiego del tempo a disposizione (rimunerato, non rimunerato, libero), la possibilità di partecipare ai processi decisionali politici, l’intensità delle relazioni sociali, le condizioni ambientali, e il livello di sicurezza economica, sociale e naturale.
I fattori incidenti sulla qualità della vita sono definiti a priori, indipendentemente dalla disponibilità di procedure per una loro misurazione quantitativa. Questo aspetto rende l’Indicatore di benessere sostenibile molto indeterminato, e di ciò, come osserva Gnesutta, la Commissione ha tenuto conto, riconoscendo l’utilità di adottare un largo “ventaglio” di possibili scenari futuri. In questo modo, pur in mancanza di un criterio per la valutazione della sostenibilità del livello di benessere atteso, il ventaglio degli scenari consente di scegliere quello che si “desidera conseguire”, compatibilmente con il livello del Pil pro-capite atteso, il grado condiviso di distribuzione intergenerazionale delle risorse, la quota di reddito da destinarsi alla lotta contro la povertà e così via.
In questo modo l’indicatore del livello di benessere sostenibile diviene un elemento interno a qualsiasi programma di politica economica, e gli strumenti per la sua attuazione possono essere definiti in relazione allo scenario prescelto.
Le motivazioni che hanno ispirato la Commissione-Sarkozy sono le stesse che hanno spinto negli anni passati altri autori a costruire indici di benessere alternativi al Pil, quali, ad esempio quello elaborato nel 1972 da James Tobin e William Nordhaus e quello proposto nel 1989 da Herman Daly e John Cobb. A differenza degli indici costruiti da questi ultimi autori quello della Commissione Sarkozy non include tra i fattori sui quali è fondata la costruzione dell’indice di benessere sostenibile la dinamica demografica, esprimente la causa del venir meno dell’adeguatezza del Pil ad esprimere il livello di benessere sociale più conveniente da punto di vista della qualità delle vita.
Per le attuali società democratiche ad economia avanzata il problema più importante dal punto di vista delle funzionalità del sistema economico è il loro orientamento al consumo. La domanda di beni di consumo dipende non solo dall’aumento del livello del benessere, ma anche dall’aumento demografico. Il tasso di crescita della popolazione è il prodotto di decisioni prese da milioni di singole coppie; ma la dimensione della sostenibilità dell’attività economica dipende dalla capacità del sistema sociale di sopportare gli esiti della crescita demografica.
La ragione per cui si stenta a prendere coscienza della contraddittorietà tra la crescita della popolazione e la sua aspirazione ad aumentare il livello di benessere ed i limiti della tenuta del sistema sociale è imputabile al fatto che la fiducia dogmatica nella crescita considera il progresso materiale sufficiente a risolvere tutti i problemi connessi al conseguimento di un livello di benessere sociale sostenibile e giustificabile dal punto di vista della qualità della vita.
Per rimuovere la contraddizione occorre dare soluzioni ai problemi connessi alla sostenibilità della crescita sulla base di decisioni condivise a livello internazionale: nel senso che le soluzioni da assumere devono essere globali e non di singoli sistemi sociali, o peggio ancora di singoli gruppi sociali.
E’ questo il motivo che giustifica la decisione della Commissione di aprire il Rapporto al confronto a all’approfondimento, proponendolo come una sfida – come osserva Gnesutta citando Bertrand Russel – per allargare la nostra consapevolezza su quello che è possibile fare e per arricchire la nostra immaginazione e capacità progettuale, chiudendola alla fiducia dogmatica nella crescita, ovvero al convincimento che con il solo progresso materiale sia possibile dare una risposta a tutti i problemi della vita.